Mare calmo
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Mare calmo

 

A ogni onda che sbatte sui fianchi di legno, lo stringi più forte a te. Piange, ha fame. Intorno, la massa d’acqua spruzza e bagna, ma non disseta, non gonfia di latte il tuo petto, ormai carne sterile. Non hai né il tempo né la forza per pensare, per pentirti di averlo portato su un mezzo guscio fatto di tavole scrostate, che a volte strappa alla morte, a volte, alla vita. Che non avevi scelta te lo ripetevi in silenzio prima di imbarcarti, mentre affondavi i piedi nella schiuma salata, perché le uniche gocce che piovono sulla sabbia sono quelle di sangue. Polvere del deserto, polvere da sparo.

Qualcuno te l’aveva detto che al di fuori delle tue terre aspre fa freddo, ma il dolore della pelle bagnata frustata dai venti di mare si capisce bene solo quando ce l’hai addosso. L’unica cosa tiepida di questa notte di mezz’autunno ti cola tra le gambe. Il freddo e la paura fanno livida anche la faccia del ragazzo davanti a te; avrà quattordici o forse quindici anni. È da quando siete partiti che osservi lui e la gente intorno: nessuno lo guarda, nessuno se ne cura. Deve essere solo. Si aggrappa forte alla parete della barca, intanto che un rivolo trasparente gli riga le guance e le crepe delle labbra. Che sia una lacrima o acqua di mare poco importa, tanto, nessuna delle due è dolce. Sebbene tu non sia molto più grande, lo prenderesti come figlio tuo, come fratello del bambino che porti appeso al collo e che non smette di urlare.

A giudicare dalla grandezza della barca, sareste dovuti essere al massimo in ottanta. All’inizio del viaggio hai provato più volte a contare le teste ammassate: cento, più probabilmente centoventi. Impossibile dirlo con certezza. Vi conteranno in maniera approssimativa anche gli altri, quelli del continente fortunato. Una volta a destinazione o giù di lì, vi divideranno in due altri numeri più piccoli: il numero dei sopravvissuti e il numero di chi non ce l'avrà fatta.

Mentre il mare incalza, fermi lo sguardo sulla gente che ti circonda e ti chiedi chi di voi riuscirà a salvarsi. L’uomo dal volto scarno che pende dal collo curvo, probabilmente, non sarà tra i fortunati. Simile storia per la donna seduta sul suo stesso peso. Il ragazzino, invece? Passi lo sguardo sulla pelle tesa intorno ai suoi muscoli magri, sulle ossa lunghe che si annodano sulle ginocchia. Avrà imparato a nuotare nella parte bassa del Niger, dove l’acqua è più chiara e le correnti più deboli. Sì, lui sì, qualunque cosa succeda, ce la farà. Dopo tutto, il rumore di un elicottero si avvicina e, a metà tra cielo e acqua, stagna la sagoma scura di una nave.

Ma le onde alte sono più veloci dei soccorsi; tutto trema, e il tuo bambino, invece di urlare più forte, ha smesso di piangere. Giuri al tuo Dio che se il mare prende lui, dovrà prendere anche te: non ti ribellerai agli schiaffi delle onde e ti lascerai tirare verso il fondo il più velocemente possibile, prima che qualsiasi aiuto possa raggiungerti.

Intanto, tieni braccia e gambe premute contro i corpi delle altre anime. Non hai spazio per muoverti, ma va bene così e ti lasci avvolgere dalla coperta umana fatta di pelle salata e occhi rossi. Rimani stretta, fino all’onda più grande. L’acqua si alza come una tempesta di sabbia liquida, copre quel poco che riusciva a infilarsi nell'oscurità, e scroscia giù. Le fasce di stoffa sono riuscite a tenere tuo figlio stretto a te; non si muove, ma ha ricominciato a piangere. Ora riesci di nuovo a vedere, e quello che trovi sono spazi vuoti. Molti dei corpi ingombranti sono diventati macchiette sparse sulla superficie dell’acqua. Anche il ragazzo è diventato una macchietta. Annaspa. Allunghi un braccio verso di lui, ti sporgi più che puoi, con il fianco piegato sul profilo della barca, fino a sentire il legno tra le costole. La sua mano sfiora le tue dita, e per un attimo pensi di riuscire ad afferrarlo; invece, i suoi occhi si allargano come gocce d’inchiostro, prima di dissolversi nell’acqua insieme a un pezzo della tua coscienza. Se l’anima assorbe l’acqua, l’acqua assorbe l’anima.

Al centro del mare, il tempo non gira insieme alle lancette, gira insieme alle nuvole e il vento. E giri anche tu, nella stessa direzione.

I gommoni di salvataggio si sono attaccati al barcone, in mezzo al fascio di luce azzurra che non smette di ruotare nell’acqua nera. Ruggiti di motori, lamenti, sciabordio, odore di escrementi e benzina. Ti tirano a bordo insieme agli altri, e ti portano verso l'imbarcazione ferma a poche decine di metri.

La notte è ancora fredda, come il metallo della nave sotto i tuoi piedi. Del tuo bambino riesci a vedere solo le gambe che scalpitano, il resto del corpo è coperto da una donna in maglietta nera e rossa, la stessa che ti ha avvolto in un foglio luccicante, la stessa che ti ha stretto una mano e ti ha tirato su: la pelle di un altro colore, e la forza uguale alla tua.

Pensi che dovresti almeno sorridere perché sei riuscita a portare tuo figlio nel gruppo di quelli che ce l’hanno fatta, ma gocce d’inchiostro si allargano nel profondo del tuo petto. Le vedi ancora e ancora. Sono già parte del passato, ma le vedi anche adesso. Sono nel cielo, sono nell’aria, sai che resteranno con te per sempre.

Una lacrima è la sofferenza che si fa liquida per liberare il corpo, ma tu non riesci nemmeno a piangere. Eppure, viste da quassù, le onde schiumose sono solo bandiere bianche. Adesso, il mare sembra calmo.

 

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