No one puts their children in a boat
unless the water is safer than the land.
Warsan Shire
I
Quando mamma mi ha parlato per la prima volta di Georgi era primavera. Lo ricordo bene perché la luce di primavera mi acceca gli occhi ogni anno quando arriva. Io neanche lo conoscevo ma quando mamma è entrata e ha detto Georgi è un eroe ho pensato subito a lui, quel bambino con i capelli che sembrano bruciati e gli occhi verdi. Georgi gioca a calcio ho pensato e mi sono ricordato di quella partita dove ha segnato due goal e tutte le ragazzine carine hanno gridato georgi georgi georgi e lui è diventato rosso rosso. O forse era già rosso perché giocava a calcio. Io sarei diventato rosso. Sono belle le ragazze qui. Sembrano trasparenti. Sembrano cadute dal cielo o venute dal mare non hanno a che fare con la terra scura e le castagne. Sono molto diverse da mia madre, certe volte la guardo ed è gialla e sembra morta ma solo perché si è appena svegliata. Altre volte sorride ed è così bella. È bella come fata la mia mamma.
Prima era bella. Prima di questo. Prima di Georgi. Prima di me che dormo e non mi sveglio mai più.
Georgi è un eroe e io non capisco. Ma la mamma mi chiama in cucina e mi dice di sedermi e ascoltare. Penso che voglio scappare perché c'è qualcosa di importante nella sua voce e io non voglio sentire. Non voglio mai sapere le cose importanti, sono stanco dei discorsi e dei pianti e dei lamenti e del fuoco. A me piace la geografia perché sei ovunque senza andare da nessuna parte. Perché se c'è una cosa che non voglio fare è muovermi da qui.
Ma mamma comincia a parlare e io non posso alzarmi e andare via. Io sono sulla sedia, mi hanno legato alla sedia e quello che mamma dice sono sassi che rotolano addosso. Mamma dice che eroe è Georgi che ha salvato la sua famiglia e ora possono vivere qui per sempre e sentire freddo d’inverno e avere gli occhi accecati a primavera e godere del sole d' estate ed essere tristi durante il lungo autunno per tutto il resto della loro vita e nessuno verrà più a bussare alla loro porta nel cuore della notte e a farli vestire ed uscire nella neve senza scarpe, nessuno potrà perché qui queste cose non le fanno.
Ma anche qui gli uomini sono crudeli a volte, aggiunge mamma, quelli che stanno negli uffici e scrivono le lettere che ti mandano via. E anche se non succede di notte ma di giorno che ti vengono a prendere se non te ne sei andato da solo è la stessa cosa e i vicini piangono e sanno che succederà anche a loro perché tutti mentono, tutti hanno un segreto, tutti hanno paura che arrivi la lettera che ti manda via.
Il nostro segreto è così sepolto sotto la terra che a volte me ne dimentico e davvero sono convinto che non ci sia nessun segreto. A volte riesco a credere di essere caduto dal cielo anche io.
Mamma continua e dice nella sua lingua strana che a volte io non ricordo come si parla ma solo come si ascolta mamma dice che alla famiglia di Georgi era arrivata la lettera che diceva che dovevano andare via, subito, di giorno, il giorno dopo o dopo un mese, andare via e non tornare, lasciare tutta la vita qui e andare lontano dove non hanno una vita. Mamma piange, mamma dice che la lettera arriverà anche a noi, presto, perché anche noi abbiamo mentito come tutti e gli uomini che scrivono le lettere sono crudeli e loro sanno, sanno che tutti mentono. Mamma non usa queste parole, lei tra le lacrime parla di leggi sull'immigrazione e foglio di via e quella frase non incontrate i requisiti minimi richiesti, l'unica frase che mamma sa dire in questa lingua che non è la sua. Dice che tutti piangevano in quella famiglia, perché erano anni che dovevano andare via e invece non partivano, perché un avvocato diceva di restare e aspettare e fare una nuova domanda. Mamma dice che Georgi era così triste perché lui è il più bravo a scuola, lui gioca a calcio, il suo nome viene gridato dalle ragazzine trasparenti, lui ha tanti amici ed è benvoluto, che non so bene cosa significa. Georgi è andato nella sua stanza e si è messo a letto e non si è più alzato e ha salvato la sua famiglia, che non è più dovuta partire e ora ha ricevuto una nuova lettera dove c'è scritto che possono restare e non partire mai più. E questo solo perché Georgi ha dormito per tanto tempo.
“Quanto tempo?”
“Tutto il tempo che è servito”.
Poi mi sono ricordato a scuola il giorno dopo che era tanto tempo che non lo vedevo nelle partite di calcio solo che non sapevo che Georgi era Georgi e non ci avevo fatto caso. Ma ora lo sapevo e ci pensavo. Ci ho pensato tanto ed è passato del tempo e me ne ero dimenticato quando l'ho incontrato. Georgi. Era lui ma non era più lui. Non aveva più i capelli bruciati e gli occhi ora erano grigi e le ragazzine trasparenti non gridavano il suo nome dagli spalti della scuola. E non lo faranno più, secondo me, perché Georgi ora non cammina bene, si trascina, la gamba destra sembra andare per conto suo. Per un momento ho pensato che era morto poi ho capito che era come la mia mamma tutta gialla. Ho capito che si era appena svegliato.
Ogni sera la mamma parlava di Georgi. È andata persino a trovare la sua famiglia, anche se non hanno nulla a che fare con noi e prima ne parlava sempre male. Diceva che non meritavano di stare qua, che il padre soprattutto, lui doveva marcire in prigione ma non qui, qui sarebbe troppo bello per lui. Invece è andata a trovarli e ha portato una torta alla madre di Georgi ed è stata tanto a parlare ed è tornata tutta contenta, era allegra, sorrideva ed era bella. Ha preparato il gulasch e abbiamo mangiato la carne piccante e mi piaceva, anche se poi mi viene il mal di pancia e ho sete tutta la notte.
E anche quando è arrivato lui è rimasta contenta e parlava parlava e anche lui ha detto qualcosa, lui che non parla mai, ha usato questa parola nuova, speranza, speriamo. E poi, all'improvviso, la mamma era a tavola, ci ha guardati e ha detto andate a dormire e io e mia sorella ci siamo alzati e siamo andati a letto. Ma li ho sentiti parlare fino a tardi e discutere e poi ridere e di nuovo urlarsi contro, e poi il silenzio, loro che non si parlano mai, se non è necessario: la mamma, che era bella e l'uomo che devo chiamare padre perché non c'era altro da fare.
Per qualche giorno ho pensato che avrei potuto prendere il posto di Georgi nella squadra di calcio, perché lui ormai zoppica sempre e non corre più. Perché io gioco a pallacanestro perché sono alto e così ha deciso il professore e qui funziona così ma forse ora potevo chiedere di cambiare perché a calcio si tira forte, con tutta la forza ma a basket no, bisogna misurare tutto, i tempi la forza i passaggi i lanci. È tutto trattenuto e io vorrei invece gridare al mondo quanto sono arrabbiato.
E ora è tutto finito perché io non mi alzerò mai più.
II
Pulisco i pavimenti, i mobili, i vetri ogni giorno, come se da questo dipendesse che tutto andrà bene. Non ho altro da fare, se non aspettare. Ora dovrò andare di là e chiamare Yuri e dirgli che siamo liberi. Che anche lui è diventato un eroe.
Ho paura a farlo.
Yuri non voleva, anche se non lo hai mai detto, diventare un eroe. Non fa parte di lui, di nessuno di noi. Abbiamo dovuto attraversare le montagne ed essere coraggiosi e lui più di tutti. Ma non avevamo altra scelta, nessuno di noi, Yuri meno di tutti.
In questo posto non c'è polvere. Io continuo a pulire tutti i giorni, tutta la casa. Se si può chiamare casa, non lo so. Qui dove abitiamo. Non come in Patria, dove pulivo, pulivo e c'era sempre polvere, anche quando tutto era coperto di neve, anche quando il vento calava e la notte ci circondava. La polvere entrava dalle fessure, dalle finestre e i loro spifferi, come se uscisse dai muri, depositata là da un tempo infinito, dai giorni della Baba Jaga.
C'era polvere anche quella notte, quando sono venuti e ci hanno trascinato a piedi scalzi nella neve e io mi sentivo la polvere nella gola, tra le gambe, la sentivo sulle mani di quegli uomini e persino nei loro sguardi. Ho visto la polvere negli occhi di mio marito mentre lo trascinavano via, c'era polvere mista al sangue che gli copriva il viso, la polvere negli occhi di Yuri che vedeva l'inguardabile, la polvere che mi entrava dentro mentre il mondo finiva.
Ma il mondo non è finito e il mattino dopo c'era ancora il sole, gli alberi e la fame, solo la neve era cambiata, era sporca di sangue e di me. Ed io ero morta anche se ero ancora viva. (Non so perché l’ho fatto). Avevo paura che quegli uomini tornassero, non ho dormito per giorni. Tenevo un coltello sotto il cuscino, un coltello nelle calze, un coltello vicino all'entrata di casa. Piuttosto avrei ucciso o avrei lasciato che mi uccidessero. Avrei ucciso Yuri e la bambina che portavo in grembo.
È per lei che l'ho fatto. Perché nessuno avrebbe creduto mai che fosse figlia di mio marito, che quella notte io ero già incinta, nessuno. Mio padre avrebbe preso la bambina e l'avrebbe gettata dalla rupe. È per lei che ho trovato qualcuno che mi portasse via, qui. Anche se sono arrivata così lontano per ritrovare gli stessi vicini che odiavo così tanto. Li incontro ogni giorno, per questo esco raramente. Yuri non capisce, dice che non voglio accompagnarlo a scuola, ma come posso iniziare la giornata guardando negli occhi questi uomini e queste donne? Quegli animali? Come è possibile che loro possano stare qui mentre io devo andare via?
Questo non può accadere.
C'è una regola nei caseggiati: ognuno si fa gli affari suoi. Se urlano, tu non hai sentito nulla, se una ragazza si getta da un balcone, tu non hai visto nulla, se arriva una donna con due bambini e un marito che non è suo marito, tu non sai nulla. Ma gli sguardi scrutano e i muri ascoltano e le pentole raccontano e la vita diventa appena sopportabile. Persino qui.
Cosa raccontano di me? Non mi importa. Ognuno ha la sua storia e la nasconde nelle pieghe della pelle. Ognuno ha un segreto e tutti lo conoscono. Ognuno di noi mente. Ognuno crede che la sua bugia sia più grande di quella degli altri.
Sono tornata al vecchio mercato con un coltello nelle scarpe, c'era molta confusione in quei giorni. C'erano le mele gialle e i broccoli verdi e anche l'uomo aveva una camicia verde: ha chiamato il mio nome e mi sono girata e ho avuto un sussulto, che il diavolo in persona era venuto a prendermi. E quando lui ha sussurrato mi manda l'Avvocato, già lo sapevo, già ero morta, di nuovo, ancora, dentro di me ripetevo non puzza, almeno non puzza. Ma mi sbagliavo. L'uomo puzzava di bugie, di stratagemmi, di frasi e ricatti, io conosco la via, conosco i confini e le montagne e le persone e tu, tu hai i soldi?
E io avevo i soldi, i soldi rubati a mio marito, che non sarebbe più tornato, i soldi della mia dote, rubati a mia madre, il corredo venduto di nascosto ad una sposa giovane che non sapeva quanta sfortuna le avrebbero portato quelle lenzuola ricamate, mai usate, che puzzano di naftalina e di rancore.
E poi lui mi ha parlato della Storia, c'è una Storia che devi imparare e anche tuo figlio, quello sgorbio, sei sicura che lo vuoi portare? E la imparerà anche quello che hai in pancia, e mi guardava il ventre e rideva con i denti storti. Rideva, questo uomo che non è mio marito, era contento di aver trovato i soldi e una Storia.
Alla fine del viaggio, quando abbiamo passato l'ultimo confine e ci siamo sdraiati nella neve, esausti, Yuri che piangeva e io che non potevo più aspettare, la bimba nasceva, quando gli uomini con le divise si sono avvicinati minacciosi e urlavano nella lingua sconosciuta e poi mi hanno vista, hanno visto Yuri e si sono calmati, improvvisamente, e hanno tirato fuori delle coperte di alluminio leggere e calde e ci hanno coperti e mi hanno sorretto, allora ho intuito e ho chiesto a questo uomo che non puzza di sudore ma di volgarità (esce dai pori, passa nelle parole, gli sguardi ne sono intrisi), ho chiesto perché me? e lui ha risposto la tua pancia vale oro, non lo vedi, principessa, come ti trattano?
Troppo tardi ho capito di aver pagato troppo.
La busta l'ho trovata nella cassetta della posta, a noi i postini non suonano, buttano tutto dentro e peggio per te se non passi ogni giorno, due volte al giorno, a controllare. La busta non l'ho fatta vedere a nessuno. Sono andata al centro di assistenza e Anna me l'ha letta, le veniva da piangere per quanto era contenta.
Sono tornata a casa e ho nascosto la lettera. Il primo a saperlo deve essere Yuri ma ora è così difficile comunicare con lui. Non risponde, non ascolta, non vuole più svegliarsi.
Miriam lo accarezza e piange. Sempre. Miriam piange quando l'uomo rientra in casa, piange quando io piango, piange accanto al letto del fratello. Miriam sa di non esistere, sa che suo padre non è suo padre, che i suoi nonni l'hanno ripudiata, mi hanno ripudiata, sa di non avere terra alcuna se non questa strada piena di neve e di gente triste dove viviamo. Miriam ha preso le forbici e si è tagliata le trecce quando Yuri ha cominciato a dormire. Miriam ha smesso di parlare e, quando mi guarda, mi odia.
E come spiegare che non era possibile fare altrimenti? Come spiegare che non è possibile rifare le cose e cambiarle? Non esiste un altro futuro, Miriam, piccola mia, vita mia, luce dei miei occhi.
III
Ascolta, nella stanza accanto cenano come se nulla fosse. La mamma oggi mi ha parlato, ha detto che sono un eroe, ha detto alzati. Ma io voglio solo dormire come te, babuska, non mi lasciare mai.
Senti la neve fuori? Odora di meraviglia. Odora di Miriam che entra e mi bacia sul collo.
IV
Yuri stringe la mia mano forte forte. Io canto di felicità, la canzone della nanna, le parole che non servono. Yuri mi abbraccia alla scuola e io non voglio andare, voglio stare con lui per sempre, che sorride e mi fa buuu, Miriam, buuu! Lo stringo e ancora lo stringo e poi mi giro e corro dentro e ricordo, ricordo il buio della stanza e il silenzio della voce. Si dice muto. Si dice coma. Mi giro e Yuri non lo vedo più. Corro ancora, incontro le bambine che odorano di fieno e io che sembro uscita dal fango. Sorridono, mi prendono per mano e mi portano con loro.