Il 21 gennaio 1944 in Contrada Sant’Agata di Gessopalena i soldati nazisti trucidano 42 civili, per lo più bambini, donne e anziani fuggiti da Torricella Peligna, come ritorsione per due soldati uccisi e altri due feriti in un’imboscata partigiana il mattino precedente. L’eccidio non ha colpevoli accertati.
Sant’Agata
«Questa terra è nostra!» ha urlato zio Camillo. Mamma e zia Rosina si sono ammutolite. «Fanno bene i guerriglieri, altroché!»
Mamma si è accorta che noi nipoti li fissavamo ed è rimasta impassibile. Ha continuato ad attizzare il fuoco e dopo un po’ ha detto «Speriamo che non ce li fanno pagare a noi i soldati morti stamattina…»
Ci siamo nascosti in questo casale abbandonato a Sant’Agata due giorni fa, dopo che i tedeschi ci hanno cacciato da Torricella. Oltre a me, mamma, mia sorella Vincenzina, i miei fratelli Leonardo e Antonio, ci stanno pure zio Camillo, zia Rosina e i loro figli Anita, Annamaria, Enzo e Gemma. E poi ci sono altre persone rifugiate nei casolari vicini. Fuori c’è un metro di neve. È impossibile andare a Sulmona, a piedi, come ci hanno ordinato, soprattutto per i bambini e i vecchi. Così aspettiamo di capire che fare.
Intanto la zuppa di cipolle e patate è quasi pronta. Stasera mangiamo. Io sono la più grande dei nipoti, ho sedici anni, tocca a me tenere calmi gli altri.
Dopo mangiato, ci siamo stesi nei letti rimediati aspettando di dormire. Ma la paura era tanta e il sonno non veniva a nessuno. Così mamma si è messa a raccontare le favole di quando era piccola.
Era ancora buio quando i tedeschi hanno fatto irruzione nella casa. Gridavano «raus, raus» e ci hanno fatto mettere in piedi uno di fianco all’altro. Mamma ha provato ad accendere il fuoco ma i soldati ci hanno buttato l’acqua sopra. Poi sono usciti, mentre due sono rimasti di guardia alla porta.
Dopo un po’ hanno trascinato dentro le persone prese negli altri casolari. La stanza si è riempita. Non sapevamo che fare, le mamme abbracciavano i figli piccoli, gli uomini cercavano di parlare ai soldati ma quelli non rispondevano. Poi sono usciti tutti di corsa e uno di loro, l’ultimo, ha gettato una bomba a mano in mezzo ai nostri piedi. E hanno chiuso la porta. La bomba è esplosa ma non ha fatto tanto rumore, ha fatto fumo, tanto che io ho pensato che ci volessero gasare. Ma poi una donna ha gridato che era ferita e tutti hanno cominciato a urlare.
Mio zio e un altro uomo hanno provato ad aprire la porta ma i tedeschi la tenevano chiusa con una fune. E in un attimo, dalle finestre e pure attraverso il camino, sono cominciate a volare nella stanza altre bombe, tante bombe. Io stavo seduta vicino al focolare tenendo in braccio mia cugina Annamaria di sei anni. Alla terza esplosione lei è rimasta uccisa.
Quando le bombe hanno finito di scoppiare c’erano morti e persone sfigurate per tutta la camera e un grande buco nel pavimento che dava sul granaio di sotto. Alcuni, morti o feriti, sono caduti in quel buco. Non sono riuscita a scorgere nessuno della famiglia, neanche mia madre.
Io, fino a quel momento, per miracolo non ero ferita. Così ho pensato di scappare saltando nel buco. Là ho cercato di nascondermi sotto alcuni corpi, uno era di zia Rosina, ma ci sono riuscita solo in parte perché i corpi erano pesanti. Ho aspettato.
Poco dopo un tedesco è entrato nel granaio e ha preso a tastare i corpi col fucile. Mi sono finta morta ma quello si è avvicinato fino a fermarsi sopra di me. Ho sentito una fiamma bruciarmi il collo, ma non mi sono mossa. Allora lui ha gridato «kaput» ed è uscito.
Altri, poi, sono entrati. Portavano paglia e la spargevano sui corpi. Ci hanno gettato sopra del liquido e in un attimo c’era fuoco ovunque. Ma alla luce delle fiamme ho visto i miei fratelli nascosti dietro una mangiatoia. È stato come un piccolo dono, anche se non potevo raggiungerli. Anche se loro non potevano vedermi.
Il granaio si è riempito di fumo e d’un tratto Leonardo, preso dalla paura, è uscito dal nascondiglio ed è corso fuori. Non ho potuto fermarlo. I tedeschi gli hanno sparato sulla porta. È morto così, a sette anni.
Ho aspettato ancora un po’ di tempo, ma il fumo è diventato talmente tanto che non potevo più respirare. Ho cercato così di scappare anch’io. Come stavo per uscire dal granaio ho visto un soldato, lui ha visto me. Ho fatto per tornare dentro ma mi ha sparato. Mi ha preso alla schiena e sono caduta in mezzo alla stanza. Ma ero viva.
Ho aspettato, aspettato ancora, senza muovermi, senza riuscire a respirare. Poi ho sentito mio fratello Antonio che piangeva. Si disperava. Diceva parole irripetibili, che voleva morire pure lui, perché tutta la famiglia era morta. Così mi sono fatta forza, sono strisciata fino alla mangiatoia e l’ho abbracciato stretto, fino a che non ha smesso di piangere. Anche lui era stato colpito a una spalla.
C’era meno fumo adesso nel granaio e il fuoco si era spento. Da fuori non venivano più voci, più nessun rumore. C’era una puzza terribile. Una puzza che non dimenticherò mai.
Siamo rimasti ancora lì, fermi dietro la mangiatoia. La ferita non faceva male fino a che non ci siamo mossi per provare a scappare.
Fuori era giorno. La luce che filtrava dalla porta illuminava i corpi bruciati. C’erano braccia e gambe strappate dai corpi. Sulla porta Leonardo stava steso a faccia in già. Io e Antonio non siamo riusciti a toccarlo. Ci siamo subito allontanati correndo per un sentiero nel bosco. Non sapevamo dove andare, ma siamo andati. Da lontano si vedeva ancora il fumo salire dai casolari di Sant’Agata.
Abbiamo raggiunto una casa colonica dopo non so quanto tempo. All’inizio ho pensato che i tedeschi avessero bruciato anche quella, ma era solo il fumo del camino. Fuori c’erano una donna e una ragazza. Lei veniva a scuola con me. Ci hanno soccorso e poi ci hanno portato a un ospedale da campo a Gessopalena.
I tedeschi erano truppe alpine e io sarei capace di riconoscerli se li vedessi perché li avevo visti davanti casa nostra.
(N.A. Il testo è adattato dalla deposizione originale di Nicoletta Di Luzio raccolta dal Capitano Jesse B. Mayforth dell’AMG dell’8° Armata e trascritta dall’interprete Victor Reiss. Nicoletta e suo fratello Antonio sono gli unici superstiti all’eccidio.)