Yingzong, imperatore cinese
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Yingzong, imperatore cinese

 

L'appuntamento con il 2 novembre ha visto l'uscita della nostra classica rubrica Mai Morti, ma abbiamo l'occasione di un ulteriore coccodrillo, e del resto dove sta scritto che per essere ricordati bisogna essere realmente esistiti?

 

 

Yingzong (r. 859-907) – Imperatore cinese

 

L’imperatore Yingzong della gloriosa dinastia Tang fu un poeta, un reggitore oculato, e un gran puttaniere. In gioventù conobbe nella carne le centottantatré donne più belle e più nobili dell’impero, rinchiudendole una a una nella voliera dorata dell’harem di palazzo.

Incontrò la donna che doveva incenerirlo solo in vecchiaia. Si trattava di una bellezza del tutto trascurabile: una contadinella pienotta, poco più che una bambina, corta di gambe e con una graziosa boccuccia a bocciolo di rosa. Ma fu come gettare un tizzone ardente su un’esca di legna secca: l’Imperatore, stravolto, l’amò da subito di un amore dissennato. L’accolse a palazzo col titolo di Preziosa Consorte. Cui Yong, il Ministro del Tesoro, vaticinò:
«Questa è una passione scellerata che finirà per rovesciare lo Stato.»

Di quanto successe in quei giorni a corte si seppe che era tutto vero soltanto perché mai l’immaginazione di un uomo avrebbe partorito simili eccessi. Per la Preziosa Consorte, per dissipare la noia di lei nei giorni di pioggia, l’Imperatore costituì in perpetuo una compagnia di seimila saltimbanchi, attori, mangiafuoco e domatori di bestie esotiche. La Cina conobbe gli elefanti. Per lei, perché non le mancassero mai litchi freschi, Yingzong fece lastricare una strada fino a una landa remota e meravigliosa dove la frutta maturava tutto l’anno. Per lei fece vuotare le casse dell’erario e convertire tutto l’oro in pietre preziose, per guardarla flottare nella sala del trono in un mare di zaffiri, turchesi, granati, giade e cristalli di cinabro.

Quando infine si accorse di essere un vecchio ormai prossimo alla morte, Yingzong abbandonò le redini dello Stato e si dedicò per intero all’alchimia della vita eterna. Cercò la favolosa isola di Penglai, l’isola degli immortali, avvelenandosi il fegato sotto la guida di ciarlatani taoisti che gli prescrivevano elisir di metalli fusi.
Intanto, per foraggiare quella passione sciagurata, il Ministro del Tesoro quintuplicava le imposte.
Gli esattori del governo pullulavano come mosche sulla marcescenza dell’impero.

Quelle politiche fiscali levarono al popolo l’acqua, l’aria e il pane. Nella capitale la lebbra la faceva da padrone. Ai canti delle strade si vedevano scheletri senza pelle che mendicavano la morte, e padri che vendevano le figlie in cambio di un panino al vapore.
Allora il popolo si destò. Bande tremende di pastai, carrettieri e flautisti macellarono gli esattori. Il Ministro del Tesoro rimostrò, illustrando all’Imperatore il malcontento del popolo. L’Imperatore sbuffò:
«Il popolo non esiste. Esiste solo la Preziosa Consorte.»

Le bande di rivoltosi si unirono in un’armata di pezzenti, e si vociferava persino di un attacco al palazzo imperiale. Il Ministro del Tesoro rimostrò ancora. L’Imperatore andò su tutte le furie:
«Questo reggia gloriosa ha retto per ottocentonovantadue anni, e non crollerà di certo per una sommossa di pollivendoli.»
Si sbagliava. Al cadere della notte i rivoltosi diedero l’assalto al palazzo imperiale. Misero a ferro e fuoco ogni cortile, corridoio, padiglione, sala, camera e penetrale; strangolarono gli eunuchi, decapitarono i ministri e bruciarono la fica a ogni puttana. Trovarono il Ministro del Tesoro nella Sala della Grande Luminanza, dietro a un cortinaggio, che piangeva e chiedeva pietà. Gli squarciarono la pancia con una mannaia e lo impiccarono coi suoi stessi intestini.
Nella sala del trono, in quegli istanti, l’Imperatore e la Preziosa Consorte levavano da un crogiolo una coppa straboccante di argento fuso. Le storie dinastiche tramandano che, un istante prima che il metallo incandescente gli sfondasse la trachea, Yingzong gridava ancora:
Salpiamo, amore, salpiamo per l’isola di Penglai!

Quando tutto fu consumato dal fuoco, i rivoltosi con grandi mazze spaccarono le fondamenta di pietra del palazzo imperiale perché, della gloriosa dinastia Tang, non rimanesse neanche il ricordo. Tale fu la grande rabbia del popolo ingiuriato.

 

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