I Mai Morti sono i vivi di allora, quello che noi saremo per i vivi di poi. Mai Morti è un libro pubblicato nel 2012, a cura di Marco Lupo e Luca Moretti. I coccodrilli di morti suicidi o morti di fame o morti di noia ritornano nella rete. Che il loro spirito possa strisciare nelle nostre carcasse biodinamiche.
I Mai Morti sono bastardi del tempo che hanno vissuto, figli di una letteratura minore. Sono famosi o non lo sono. Sono esistiti o non lo sono. Sono scrittori o imbianchini, sono stati punti neri sulla scacchiera bianca o sono stati al margine, non importa.
Oggi, vivono per noi: Beato Angelico, Henri Rousseau, Cesira Fiori, Vivian Maier, Alessandro Leogrande, Kris Kristofferson, David Lynch, Diane Keaton, Abed Elhameed Qaradaya. Riesumati dalle penne di: Luca Scacchetti, Maurizio Paolo Porcaro, Alessandro Chiappanuvoli, Tiziana F. Grellenti, Giorgio Antonelli, Gianluca Colloca, Alessio Campese, Laura Leone, Stefano Salvi.
Beato Angelico, frate-pittore (Vicchio, 1395 – Roma, 1455 – Firenze, ottobre 2025)
Blu lapislazzuli, broccato, sfondi dorati, potenti anatomie dei corpi, nicchie a conchiglia, marmi policromi, di rosa screziati, il tutto impreziosito dalla meticolosità del tratto, di formazione miniaturista. Le mostre sono di una noia mortale. Non fosse che, compreso nel prezzo, c'è l'esperienza del concentramento, i centouno modi per disfarsi del turista morboso, il mordi-e-fuggi dalle didascalie museali, e insomma, la sensazione di... di chi diavolo me l'ha fatto fare? Le mostre si visitano col telefono sguainato, punto, si prende lui la briga di tutto. Senza, a breve, sarà vietato. Questioni di sicurezza. Io non posso entrare.
In una Firenze già brutta, che di per sé è patetico autoscontro di corpi, orribile avanguardia di tendenze già scritte, in questo urbanesimo che da qualche parte chiede aiuto sotto le grida delle montagne russe, tra sfilate di Maserati e Suv Ferrari targate Danimarca, a due passi dall'istituzione di tornelli e biglietti, a me, e al povero Angelico no perché lui adorava il potere e al giorno d'oggi avrebbe disegnato telefoni, o, per l'appunto, automobili, a me vengono i brividi: nel luna park di una città parodia di Firenze, c'è più disperazione che divertimento.
Con l'apparizione del Beato a Palazzo Strozzi, il Rinascimento stucchevole muore con tutte le sue mostre.
...perché è nelle mostre, è lì che ci relazioniamo più apertamente col fatto straordinario, è davanti a una galleria d'arte che può succedere. Succedere cosa? Che siamo incapaci di reagire.
Henri Rousseau “il doganiere”, pittore (Laval, 1844 – Parigi, 1910)
Un ingenuo. Un sognatore. Un autodidatta. E un morto di fame. Si può dire che la definizione di naïf sia stata inventata per lui. O, almeno, è riferita a lui che ha assunto il significato che oggi le attribuiamo parlando di un artista.
A lungo impiegato al dazio comunale di Parigi (da cui il soprannome di “doganiere”), comincia a dipingere verso l’età di quarant’anni e, pur non avendo mai lasciato Parigi, crea sulle sue tele un universo esotico fatto di giungle realistiche eppure inverosimili, primitive e fantastiche, oniriche e misteriose.
Fin dall’inizio sbeffeggiato da parte dei critici, che lo scambiano per “un pittore della domenica”, va a finire che diventa un riferimento per Picasso e Gauguin, Kandinskij e de Chirico.
Cesira Fiori, maestra, scrittrice, partigiana (Roma, 1890 – 1976)
Era scorbutica, Cesira, ma anche pozzo d’amore. Voleva vivere solo per aiutare la povera gente fino alla Liberazione, vivere di quella fiamma che consuma, morta a tutto il resto. Socialista, poi comunista, sempre antifascista, nel Ventennio significava confino, a Ponza, Ustica, Maratea, poi a San Demetrio ne’ Vestini, dove almeno si ricongiunse col marito Berto Cumar, friulano, pure lui confinato. E stessa sorte per il figlio Mario Mammucari, figlio suo ma non suo, adottato alla morte del precedente compagno e cresciuto da ragazza di madre; come ‘na zoccola, le dicevano.
A San Demetrio dava lezioni private, perché il fascio non le permetteva certo di insegnare a scuola, e conciava pelli, con Berto e Rigo, un altro friulano. Ma in casa loro, alla Chiusa di Cardabello, accadeva anche altro. Si parlava, si raccoglievano armi, si rifugiavano prigionieri militari, si faceva propaganda, si organizzava la Resistenza. La Resistenza della Banda partigiana “Giovanni Di Vincenzo”, la più importante dell’Aquila. Così fino al 13 giugno 1944, alla Liberazione dell’Abruzzo, quando il CNL l’incaricò di essere il primo sindaco donna di San Demetrio.
Cesira, poi, è tornata a Roma. Ha insegnato, ha militato nel Partito Comunista, ha scritto libri. I fatti di San Demetrio sono raccontati in uno ormai introvabile, La confinata. Nella prefazione, Bruno Corbi scrive: Cara, brava Cesira, hai dato tanto e non hai avuto nulla; e come te tanti sono i dimenticati. Questo libro è scritto anche per loro, quelli di cui s’è perduto il ricordo, i cui nomi sono stati scritti sull’acqua.
Vivian Maier, fotografa (New York, 1926 – Chicago, 2009)
Come proprio della maggior parte degli esseri umani, finché è stata viva nessuno sapeva chi fosse. Bambinaia, tata, governante: pagata per restare invisibile mentre altri crescevano sotto i suoi occhi. Quegli occhi con cui lei vedeva tutto. Con la Rolleiflex appesa al collo come un rosario laico, rubava frammenti di mondo che nessuno le aveva chiesto di conservare. Centomila negativi riposti in bauli, scatole, cassettoni. Un archivio clandestino dell'America che cambiava pelle. Morì ignota ai più, e solo allora – quando ormai non poteva più dire no, né sì – il mondo la trasformò in genio. La esaltarono postuma, la celebrarono ignara. Forse avevano bisogno di un'altra storia di artista incompresa, e lei non poté nemmeno rifiutarsi di interpretare il ruolo. Perché a volte questo è il destino di chi vive ai margini: diventare centro quando non serve più a niente.
Alessandro Leogrande, scrittore e giornalista (Taranto, 1977 – Roma, 2017)
Wikipedia, le prime due righe riferiscono: Alessandro Leogrande (Taranto, 20 maggio 1977 - Roma, 26 novembre 2017) è stato scrittore e giornalista italiano. Segue una biografia di eccellente qualità, sterminata per quantità in rapporto alla sua breve esistenza. Libri, saggi, reportage, inchieste e collaborazioni con le migliori riviste dei primi anni del nuovo secolo. Ma è partendo da un punto temporale esatto che lo voglio ricordare, la tragedia della Katër i Radës, la nave albanese che con il suo carico di umanità dolente in fuga dall’Albania, dalla guerra civile, il 28 marzo 1997, nel Canale di Otranto, fu speronata dalla Sibilla, una corvetta della Marina Militare Italiana. Fu un incidente dove morirono cinquantasette persone e ventitré corpi non furono ritrovati. In Puglia era appeno iniziata quella mondanità turistica che avrebbe grattato tutto il possibile dalle più belle cittadine di riviera e il rinascimento pugliese stava raggiungendo il suo picco. Alessandro Leogrande su quelle cronache, approfondisce, intervista i superstiti e i parenti delle vittime, va nei villaggi da dove sono partiti quei migranti, riferisce tutto nel libro Il naufragio, trovando le parole giuste nel tentativo di dare un significato a quella tragedia. Riuscì a coglierne, fu tra i primi, l’effetto domino della disintegrazione sovietica che dalle ex repubbliche, abbassandosi, toccava i Balcani per spingersi sulle coste del mediterraneo albanese. Il nuovo fenomeno dell’immigrazione dall’est. Qualcuno disse, con un’intuizione felice, che ciò che mostrava quella vecchia motovedetta bianca con le macchie di ruggine colate lungo le fiancate, era il sipario sul XXI secolo che si apriva a est: il nauseante divario tra ricchezza e povertà a poco più di cento chilometri dalla costa pugliese e quindi dall’Europa. Ed è su questo scenario di ingiustizie che riguardavano e riguardano i paesi bagnati dal Mediterraneo che Leogrande posa lo sguardo. Sulle distrazioni, sulla precipitazione della ragione, per cogliere lo spirito del mondo in quei giorni, su quanto disgustoso fosse l’orizzonte promesso.
Kris Kristofferson, musicista e attore, (Brownsville, 1936 – Maui, 2024)
C'è chi vive una vita, e chi ne vive sette o otto. Kris Kristofferson appartiene decisamente alla seconda categoria, un romanzo d'avventura fatto persona che ha attraversato il Novecento come se stesse sfogliando un catalogo di esistenze possibili, prendendosele tutte.
Atleta universitario, dottorando a Oxford, aspirante scrittore, pompiere, capitano dell'esercito, pilota di elicotteri, insegnante di letteratura, barista, inserviente alla Columbia Records (cosa che gli permise di entrare in contatto con musicisti e produttori), cantautore, attore: ognuna di queste vite basterebbe a riempire una biografia, ma per Kristofferson erano solo capitoli di una storia più grande, quella di un uomo che ha sempre preferito l'orizzonte alla stabilità, il rischio alla certezza.
Ha vissuto abbastanza a lungo per vedere le sue canzoni entrare nel pantheon del country e del folk, i suoi film diventare culto, e la sua leggenda crescere fino a diventare quasi più grande della realtà. Ma forse la sua più grande impresa è stata quella di rimanere sempre se stesso, un cercatore inquieto, un poeta con il bicchiere in mano, un filosofo con la chitarra a tracolla.
In un'epoca di specializzazioni, Kristofferson ci ha ricordato che una vita può contenerne molte altre, che non bisogna per forza scegliere tra essere un pilota o un operaio, un attore o un cantante. Si può essere tutto questo e anche di più, basta avere il coraggio di dire sì all'avventura successiva, qualunque essa sia.
David Lynch, regista (Missoula, 1946 – Los Angeles, 2025)
David Lynch, semplicemente, era altro. Dove i grandi artisti ci influenzano in maniera esplicita, lui saltava direttamente la nostra parte razionale per rivolgersi a quella metà di noi cui di solito nemmeno parliamo, che anzi nemmeno conosciamo per non dire che nemmeno ne concepiamo l'esistenza.
E infatti lui la leggeva meglio di noi, questa stanza buia dove abitano le tende rosse e i nani ballano all'indietro. Lynch non ti faceva capire, ma ti faceva percepire. Non spiegava i suoi film perché questa impossibilità era ed è il significato.
Ecco, il punto non è mai stato capire, ma cambiare la temperatura del mondo, la consistenza dell'aria, intuire che bene e male sono lo stesso istante.
Diane Keaton, attrice (Los Angeles, 1946 – 2025)
Aspetta, Diane Keaton è ancora viva. Diane Keaton non può essere morta, dannazione. Non può. Perché Diane Keaton probabilmente sta indossando un cappello buffo e meraviglioso in questo preciso istante. Era quella che metteva cravatte larghe quando le donne non potevano permetterselo, quella che rideva scomposta quando ridere scomposti non era femminile, quella che aveva trasformato l'inadeguatezza in leggiadria. Ed era già morta ogni volta che un uomo le ha detto "sei pazza" come se fosse un complimento, in ogni inquadratura di Woody Allen che la voleva nevrotica quanto bastava per essere amabile. Ma è anche risorta ogni volta che ha sfoggiato quei suoi look meravigliosi, quei pantaloni che non dovevano starle bene e invece le stavano perfetti, ogni volta che ha riso con quella risata rotta, scomposta, vera. Diane Keaton ha fatto di sé un'icona senza chiedere il permesso.
Abed Elhameed Qaradaya, fisioterapista di Medici Senza Frontiere (Gaza, 1982 – Gaza, 2025)
In diciotto anni di lavoro non avevi mai avuto un un sarto come collega. Ma le bende compressive per i pazienti ustionati avevano smesso di entrare nella Striscia, così un giorno al Nasser Hospital era arrivato Abu Mohammad con una macchina per cucire. Si era sistemato su un tavolo e aveva iniziato a lavorare, come se produrre bendaggi per bambini senza più un arto fosse la cosa più naturale del mondo. Ti affascinava quell’uomo e ogni tanto, tra una sessione e un’altra, ti concedevi qualche minuto per osservarlo. Se gli andavi abbastanza vicino il rumore della macchina per cucire copriva quello dei droni israeliani.