Ieri mattina sono stato convocato in azienda. Oggetto: una consegna ‒ non meglio specificata.
Ma, dettagli a parte, una chiamata del genere non lascia mai presagire nulla di buono.
Quando si tratta di promozioni, un clima particolare avvolge il “beneficiario” ‒ ammesso che un avanzamento di carriera possa considerarsi un vantaggio. Ricevere un’attenzione imprevista da parte del datore di lavoro, però, non è la stessa cosa. In tutta onestà, credo proprio che qualcosa di spiacevole stesse per abbattersi su di me, oltre che sulla mia carriera. Questa parola, citata già due volte, mi aveva fatto sempre un po’ sorridere. Almeno fino a quando non si è dispiegata in pieno, mostrando di saper aderire al punto da mascherare la mia persona…
…in ogni modo, sono stato in azienda.
Non ero teso, a differenza del funzionario che ha avuto il compito di ricevermi. Avevano incaricato lui, un uomo. Maniere affettate. Mi ha fatto accomodare, osservando scrupolosamente il cerimoniale contraddittorio che si riserva a un ospite “di riguardo”. Costeggiava la scrivania, tra telefonate e documenti da firmare. Dava l’impressione di essere molto impegnato. Andavo incastrato nel continuo di un’attività senza sosta, un ciclo imperscrutabile lo coinvolgeva, di durata indefinita.
«Come sta?» ha sorriso, porgendomi la mano, segno che era arrivato il momento di prendermi a bordo.
Stabilito il contatto, mi ha sottoposto subito un foglio. L’aveva estratto con grande cura da una cartella, per poi farlo scivolare verso di me, sulla scrivania, con molta decisione.
«È una planimetria dei locali» ha spiegato, mettendosi seduto. E, pigiando l’indice su un punto preciso del foglio, ha proseguito: «L’ingresso della filiale. Non sono certo un esperto di queste cose, ma qui dovrebbero aprirsi due stanze, ciascuna su un lato del corridoio. Ed ecco il suo ufficio, dovrebbe essere questo» ha alzato gli occhi, le labbra contratte.
Annuivo. Ora mi sentivo piuttosto ansioso, precipitoso, le cose erano partite veloci ma io cercavo lo stesso di seguire il filo del discorso: ero preparato a dover affrontare un lungo giro di parole, ma… la consegna?
«Uscite di emergenza qui e qui, mi pare…»
«Sì. E una delle due, che dà sul davanti, la sblocchiamo la mattina in apertura.»
«Le stanze, tutti gli uffici voglio dire, compresa la sala, sono coperte da un controsoffitto.»
«Mi sembra di sì...»
«Bene, questo è importante.»
È seguito un silenzio. Durante il quale lui ha continuato a studiare le sue carte, mentre io tenevo lo sguardo sul suo indice che si muoveva: c’era qualcosa a cui stavamo arrivando?
«Si starà chiedendo il perché delle domande.»
«Un’ispezione? Prevedete un sopralluogo?» ho chiesto.
«Non proprio. Per il momento, quello che posso dirle è che stiamo valutando se ci siano altre vie d’uscita, o d’ingresso, rispetto a quelle segnalate dalla cartina.»
«…per?»
Be’, qui credo che il cipiglio volesse rimarcare l’ovvietà della risposta: «Lo stato dei luoghi di lavoro rappresenta una delle nostre maggiori preoccupazioni» ha sancito con sufficienza.
Stavo giusto per agganciarmi al tema, per sottolineare quanto l’occasione dell’incontro potesse rivelarsi utile proprio a discutere dello stato igienico della filiale, quando:
«Aspetti, so cosa sta per dire,» mi ha interrotto, «conosco la vicenda, mi creda, mi sono interessato.»
«La settimana scorsa hanno rosicchiato delle esche» ho dichiarato preoccupato. «Quei topi saranno morti, ma è probabile che ce ne siano degli altri…»
«E il problema va risolto. Alla radice» sembrava soddisfatto.
Si è alzato in piedi e ha aperto un armadio.
Ho avuto l’impressione che tutta la conversazione – la convocazione – volesse portare lì, a cercare qualcosa.
«Lo risolviamo il problema, lo risolviamo» ragionava tra sé mentre rovistava su uno scaffale.
Si è voltato e ha lanciato qualcosa sul tavolo. L’oggetto ha attraversato tutta la scrivania fino a colpirmi sulla pancia, dove si è fermato.
«Con questo qui il problema finisce» ha detto.
Una confezione di plastica. Contenente qualcosa di grigio, che poteva essere stoffa.
Mi invitava ad aprirla: «E pensi che è solo una piccola parte di un progetto per cui l’azienda ha investito molto. Lo prenda, può rompere la confezione, è sua adesso».
Ho strappato l’adesivo, non trovando un varco per le dita. Stavo per toccarne il contenuto, quando dentro di me ho sentito alienarsi qualcosa.
Ce l’avevo scritto in faccia?
«Ciò che vedrà le sembrerà strano,» ha preso ad argomentare, «ma saprà collegarlo a molte altre scelte che abbiamo assunto nel corso degli anni. È solo una tessera del mosaico, che dà un indirizzo importante. Lo indossi, su, non faccia il ritroso.»
Sono tornato in ufficio dopo qualche minuto.
«XL, l’avevo detto che ci voleva. Lei ha le spalle larghe, che sport ha fatto da ragazzo? E non è nemmeno corto di maniche. Tiri su la zip, perché non mi fa vedere come le sta col cappuccio?»
«Temevo di esagerare...»
«Esagerare? Ma l’ha fatto un giro degli uffici, si è guardato intorno? Per caso ha visto qualcuno dei suoi colleghi?»
In effetti non avevo incrociato nessuno.
«Si sono nascosti, l’hanno presa sul serio. E lei, vuole rimanere indietro?»
La risata è scemata, stravolta in una maschera seria, severa.
«Ora posso andare?» ho domandato con cautela.
Ma non ho voluto infastidirlo, riassemblare la cartella lo assorbiva.
Dietro front, a piccoli passi per l’uscita. Rischiando comunque di inciampare: non avevo considerato la codina.
Una concessione al realismo, forse un po’ troppo leziosa. Una trovata poco pratica, avrei dovuto abituarmici.
Anche l’uscita poteva rappresentare un ostacolo, per le orecchie.
«Mi scusi, ora posso sfilare il cappuccio?»
Ho avanzato di lato, oltrepassando la porta come un ladro.
Poi, grigio tra i topi, sono tornato al lavoro.