Una personalità senz'uomo

Una personalità senz'uomo

Alois posso dire di conoscerlo fin dai tempi dell’Università, e Dio solo sa quanto non gli abbia mai mancato di rispetto, ma sempre cercato di favorirlo, considerandolo meritevole dei lauri più fronduti, delle più alte onorificenze, nonché una delle più acute menti e sagaci che si siano mai distinte in questa incontrovertibilmente sciapida, a dir slavaticcia, società.
Capirete dunque come, dall’altra parte della strada vedendolo parlare con una grondaia – e mi si creda quando affermo che non era semplicemente borbotticchiante tra sé medesimo e facevalo davanti a una casuale gronda, no!, animosamente l'interloquiva, a tratti scotendo il capo, a tratti annuendo: e l'incalzava, e attendeva risposte a posti quesiti... insomma l’idea era nientemeno che quella d’un articolato dialogo col profilato acquifero – parlare con una grondaia, dicevo, rimasi letteralmente sconcertato, ed il cuore, similiter taluni palustri anfibi, mi s'enfiò tutto di non poca amarezza.
Ma il peggio, che non l'immaginiamo sguizzero, dacché tradizione lo vuòl giammai puntuale ma sempre atteso, se fino a quell’istante poteva dirsi ancor ingiunto, e magari evitar pure di palesarsi per rispetto ne’ miei confronti e pietà pel povero mio rinfanciullito sodale, bè, quel peggio eccolo far capolino sotto forma:
del mio vecchio amico tutto scuro in volto (livello “fisionomica come di condoglianze a caro”), che dopo aver scosso sospirando mesto il capo, andava porgendo un fazzoletto, di stoffa alla gronta di cui sopra: come se la medesima fosse in lacrime commossa.
Portarmi le mani agli occhi, come a spannocchiarli per la tanta maraviglia, a dire: discartarli dallo sbigottimento, fu cosa che proprio mi venne sponanea... Non pago, mi pizzicottai pure, con una foga che, se dormiente, m’avrebbe di certo risvegliato biasimante il tristo sogno, ma niente: dovetti ammettere a me stesso che sveglio ero sveglio, e l’Infausta Scena stava davvero essendo davanti ai miei occhi.

Giungevan le battute finali: quell’historia prevedeva per l'allora il momento del congedo, evidentemente i due avevan esauriti convenevoli e reciproche interpellanze... o chissà che il grondo – mi sorpresi a ponzare, ormai assimilato come normale il siparietto – non sia atteso d'urgenza a una qualche mondaneria...
Fu allora che vidi Alois tendere la mano a guisa di saluto (quanto quel tendere conficcava idealmente in me uno stiletto di dolore in petto!) e dire con articolazione e volume bastanti perché non una lettera andasse fraintesa: “Addio, amico caro” (trattavasi dunque di grondaio, a dedurre dalla desinenza riservatagli), lasciando il consolato al suo destino di gronda. Che poi oltre allo scolo d’acquae piovanae, l’Autore non saprebbe ben dire qual altro possa essere.

¿E lasciare Alois così, in balia dell’insania?
E voltargli le spalle mentre il suo senno era condannato a sbiadìr vieppiù, sino allo stingersi? Non sostenerlo, qual gruccia, quantomeno ostacolare, provarci, rallentando almeno!, il suo ingiusto decorso tra le braccia della deficienza? Perché se discorri con un sottogrondale per la pubblica via, è chiaro che è lì e solo lì che stai facendo, e celere, capolino. Pazzo lo era, evidentemente – un luminare della sua fama, perdio! – smarrito l’aveva, evidentemente, il senno.
Ma amicizia in qualche sua non oscura accezione può anche dispiegare la risoluzione che presi in sull'istante: giurando a me stesso che ancora una volta sarei stato al fianco dell'or fesso Alois. M’apprestai ad attraversare con cautela – disgrazie quel giorno se n’eran già contate – la strada, sbracciandomi. La voce chiamava sì “Alois, ehi, Alois!”, ma la mente non poteva che pensare “Mi riconoscerà per quello che sono o saddìo per cosa mi scambia?”

“Che piacere”, disse, “proprio un gran”. Che “È giornata favorevole per l’incontro di vecchi e cari amici”, disse, che “mi è propizia la sorte”.
Un poco il fiato mi venne meno pensando che si servisse del plurale perché gli amici cui faceva riferimento eravamo io e... Ma visto che ormai l’aveva egli stesso ammesso, ritenni giunto il momento d’agire.
“A questo proposito, è forse il caso...” incalzai, ma Alois, non lasciandomi completare, rincarava la dose con un “Proprio ora, ho congedato il Craveri. Non penso vi siate conosciuti. Te l’ho mica mai presentato?”
Gli aveva offerto un fazzoletto per asciuttarsi le lacrime: se l'intimità era a quei livelli per certo doveva averlo prim' anche ribattezzato... Il dettaglio onomastico dell’acquagettante non mi impressionò, né turbò oltre. Constatai anzi come il mio amico conservasse il suo fare d’urbano gentiluomo nonostante la jattura cerebrale.
“Alois caro, tu... giureresti di sentirti, come dire... bene?”
“Mai stato meglio, vecchio mio. Parto tra una settimana per Lahore: si torna alla cara e vecchia ricerca sul campo. Anche se, alla nostra età..”
Nel dirgli “Anche poco fa, dico, avresti giurato di sentirti bene? Formicolii? Ronzii? Giramenti di capo? Indolenzimenti craniali, fittarelle del medesimo?”, m’oscurai sensibilmente nel tuono.
“Poco fa?” E un’ombra gli attraversò lo sguardo occhialuto: avevo colto nel segno. “Poco fa, ecco... se proprio vuoi saperlo incontrare Helizondo mi mette sempre addosso una gran tristezza. Sempre, provero il Craveri. Uno come lui! Tra i migliori servitori e più fedeli che il Nostro Paese abbia mai avuto...” – e qui la voce mi parve rompersi…
Era il momento di guadarlo, questo mio Rubicone, e cupo “Certo, Alois, se può chiamarsi servire la Patria scolare i piovaschi per via!”.
Sorpreso, come punto sul più vivo,
“Che giarda è questa? No, meglio, che giardanando vai?” Disse guardandomi sospetto, indi irrigidendosi di colpo. Lo sguardo l'avevo rapace, grifonesco che più non mi sarebbe stato possibile: si convinse che non stavo corbellandolo.
“Vorresti insinuare cosa?”
Spietato, ma conscio che era per il suo, di bene, dovetti muovere il colpo terminale “Una spiccacqua, amico mio. Ti ho visto, ed ho la morte nel cuore. Tu stavi parlando con una spiccacqua!”.
Sconvolto per la sorpresa, “Sicuro di sentirti TU bene, vecchio mio?”, mi chiese.
Patetico! Scoperto, tentava forse di sovvertire i ruoli, credendosi chissà protàgone d’una mediocre pochade d’ambientazione parigina, con tanto di parrucchi, cielommiommarito e grevi travestanse?
“Sempre più di te, che fino a qualche minuto fa colloquiavi con un laminato canalato... Non ti sto giudicando, amico, sono qui per aiutarti. Noi ne verremo fuori assieme, o se affonderai sarò al tuo fianco, facendo tutto perché il sia dignitoso”.

(Baldebarrano la sig.ra, che passava lì da presso proprio in quell'istante medesimo, vuoi perché stremata dal peso delle spòrtule straripanti provvigioni cibesche – la rendita di cui campa non del tutto le permetterebbe la generosa spesa, ma tantè: nel finesettimana riceverà la visita dei tre figli, e d'uopo è un banchetto degno della sua fama di cuciniera – sentendo quel signore, distinto percarità, ma tutto in fiche e tutto pavonazzo, dire a quello più anziano “lamellato canalato” si abbandonò ad un laconico e non meno definitivo “Poer matt...”)

Quelli che seguirono furono istanti di silenzio. Non posso esserne certo, ma l’ipotesi è che nei medesimi la mente di Alois era tutta rivolta a figurarsi l’immagine mentale proprio d’una suggrunda: analizzandone i possibili significati, tutti gli a lui noti, accezioni del termine, usi polisemici alla scoperta di uno che potesse motivare la mia affermazione. “Cosa mai diavolo c'entra – avrà pensato –, la suggronda con il mio colloquio di poc’anzi col già menzionato plurime, Helizondo Craveri?”
La mia mente invece era tutta rivolta alla contemplazione mesta di quel momento, salvo i tratti in cui venivo attraversato dalle note d’un carosello di una certa pasta dentifricia che pur non uso, ma di cui ammiro appunto lo stornelletto promozionale. A guisa distensoria per i nervi miei: oh, care conscità infere che tentate d'addolcirmi tampoco questo fiele!
Quindi Alois si voltò, parendo ricercare con lo sguardo l’esatto punto in cui era stato avvistato, scoppiando in una sonora – a tratti per lui un filo volgarotta – risata: quell’impeto ridanciano lo dedicava tutto alla mia persona. “Pazzo. E senza speranza.” fu la sola cosa che le mie meningi riuscirono a partorire...
“È tutto chiaro, cristallino!, vecchio mio. Si sarebbe intranellato chiunque, non temerlo. Quale spiccacqua, nessuna suggrunda! Helizondo, era, Craveri!”
Al che io: Alois cessa! Amico mio, che ingiusta vita quella che ti rincogliona proprio alle canutizia! Capisci che tu hai porto, ed io ne son testimone, hai porto la tua pezzuola ad uno scoliere di metallo! Che t'aspettavi, che il prendesse? ...Te ne sei rimasto poi come impagliato e l'hai riposto nel tuo taschino: Quel riporre... è stato quello un momento di lucidità, vero? Un barlume di rinsavimento? La Ragione ha riprese le staffe, dimmelo, dimostrami che non sei poi tanto aggraviato, eh? Hai capito – e le guance mi s'arrossavano e il tuono mi si concitava – quanto grave è la situazione, l'istato tuo, eh? Amico mio opponiamci, gridai, dobbiamo!, alle cervelle squarquoie!

Abentamente, d'una quietà invidiabile, Alois mi sorrise e paterno, dopo avermi serrato, ma docile, un gomito
“Certo che me lo sono riposto, il pezzuòlo nel taschino; il Craveri è, che ti credi, galantuomo, uscirebbe di casa giammai senza i suoi pregiati accessori: ha usato il suo per tamponare lagrimas, dopo aver, è chiaro, declinato educatamente la mia profferta. Seguimi”.

Helizondo Craveri – mi spiegò qualche minuto dopo, seduti all'ombra d'un cafè, sorbettando – era un caso, raro ma non unico, di Personalità Senz’Uomo.
Con questo deve intendersi che egli è sì nato come tutti gli esseri di questo mondo e come tutti ha vissuto la sua vita, ma a differenza nostra le sue Qualità non sono mai state provviste di una congrua, tangibile e antropomorfa sede corporea. È invisibile. Pura Astrazione. Inconsistente. Dunque io ero certo che l’Alois stesse parlando con l’idrante pertugiona, invece, davanti a questa e per una mera coincidenza prospettica, c’era il miser Helizondo Craveri che ragguagliava il mio amico circa condizione & risma del suo attuale stato e occupazioni. Quella che pensai la Fesseria era dunque invisibilità frammista a giustapposizione.

“Helizondo l’ho conosciuto ai tempi della Campagna del Sahara, non avevamo che vent’anni. Eppure, se io ero solo un semplice coscritto, Craveri ricopriva già delicatissimi incarichi per conto del Controspionaggio. Dietro le linee nemiche, ca va sans dire. Figurarsi, un milite invisibile! qual orgasmo non dev'essere per gl'Ufficiali. Difatti non passava settimana senza che qualche Potenza Straniera, dai più antichi stati centrali a quelli di più recente costituzione, cercasse di corromperlo e fare il giuoco doppio. Ma lui, mai! Persi le sue tracce quel maledetto giorno in cui cadde il nostro ksar per mano nemica, e il reggimento... bè la storia t'è nota. (Il ricordo di quei prodi lo moveva sempre al lacrimario). Non ho saputo più nulla per molti anni, quando finalmente lo ritrovai a Calcutta, erano i tempi della mia Cattedra. Lui sempre nelle Relazioni Internazionali: è stato più volte Ambasciatore. In uno spolvero invidiabile era, e nel frattempo sposato: lei, diceva, mi ama! Ma, capisci vecchio mio, così, senza averlo mai visto, son cose che si dicono, le si ponzano mai a dovere? Senza essere mai stata accarezzata, abbracciata, baciata men che meno... tre anni dopo, a farla breve, lo lasciava: solo, con la sua Evanescenza. Lui non si è più ripreso. Per dimenticarla si è gettato nel lavoro, è stato l’anima della Cooperazione Mondiale. Ho già detto Ambasciatore? E mandatario plurime. Sappi che se abbiamo evitato la Guerra nel Pacifico del '59 il merito è solo suo.
Li ha conosciuti tutti, i Grandi. Vedessi le foto che lo ritraggono con i Maggiori dei nostri tempi. Cioè, in quegli scatti i Celebri sembrano soli – ed infatti i detrattori del Craveri se ne sono serviti sempre per gettargli addosso discredito – ma al loro fianco c’è sempre anche quel non meno grand’uomo di Helizondo. Sempre elegantissimo. Credo. Oggi però l’ho trovato molto male. Si trascura. È, vedi, in pensione da ormai sarà qualche anno. Mi parlava proprio di questo. È solo, e maledettamente. Non ha mai trovato qualcuno che volesse stargli accanto. E non ti sto parlando del Club, dove è tutt’ora il più illustre e riverito tesserato, ti parlo di donne, vecchio mio. Col pretesto che, anche se ci fosse sarebbe come se non, nessuna che se lo accolli. Mi parlava di alcune che l’hanno, – e che segnale inquietante è per la nostra società – rifiutato sostenendo la puerilizia che “una vita così, tutt’al più la voce, senza altro” le avrebbe replicate Giovanne d’Arco all'occhi d'altri: pazze! E sì che lui, come noi, inizia ad averne di anni. Almeno non ha acciacchi: per forza, mancando di arti o giunture... vederci, credo ci veda come sempre; non gli ho mai chiesto, mi sovvien sol'ora, se porta gli occhiali. Eh sì, in quelle sue condizioni non deve essere facile, ecco tutto. Triste, triste vita per Helizondo...”

Strascicando così il nome dell’amico, il mio interlocutore arenava il racconto, lasciandomi non poco attonito, certo mesto e con un'impressione di senso di colpa, intanto secreto dalla ghiandola preposta.
Triste, la vita di quell’Helizondo Craveri, doveva esserlo per davvero. Leale, prode, servitore della Nazione, ma anche – stando ad altri aneddoti che Alois mi racconterà in separata sede – magnanimo, gioviale, a tratti guascone: tante belle qualità e nessun Uomo a contenerle.
Devo dirla tutta? Per un momento ho pensato che l’avrei preferito, Alois confidente fuor di senno del gocciolatojo cittadino, piuttosto che sapere dell’amara esistenza del Craveri, quel povero Helizondo costretto nel suo tramonto a trascinare per le strade del mondo la sua stanca e sola Assenza.

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