The Big Borderline #2
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The Big Borderline #2

 

Tre settimane prima

 

Simona posava davanti alla fotocamera con il suo nuovo outift, orgogliosissima, non vedeva l’ora di leggere commenti incoraggianti che le confermassero quanto quel vestito strizzaciccia fosse adatto e indispensabile per un aperitivo in centro. Lo specchio era sempre lo stesso, perfetto per accoglierla in tutta la sua superficie e perfettamente orientato rispetto alla luce naturale che fluiva dalla finestrella alla sua destra.

Dal lettino Morena non parlava, anche se sarebbe stata perfettamente in grado di fare qualche piccolo discorsetto ormai, farfugliava sovrappensiero a volte ma preferiva non attirare l’attenzione perché aveva intuito che se un adulto si accorge di te succede sempre qualcosa di spiacevole. Basso profilo.

Il sonaglino da neonata era una certezza, le dava sicurezza e conforto quando la mamma spariva, era la sua Nanna. Poi c’era anche quella bella figura tenera che si chiamava nonna ma da tanto tempo, anni, millenni, non la vedeva più. Nonna e mamma litigavano tanto e anche quando due adulti litigano succedono cose brutte. Era buona la nonna, le faceva mangiare cose che si potevano masticare, era stupendo masticare, era una sensazione piena e croccante, riempiva lo stomaco di morbidezza e profumo buono, era una cosa bella grande come il cielo che si vede alla tv, era mangiare. Però le persone spariscono e a volte, menomale che certe persone spariscono. Con la mamma si ciuccia solo latte dal biberon, lo stomaco gorgoglia, un senso di vuoto così grande che sembra il buio nella stanza quando mamma va via e lei resta sola nel lettino con tanti biberon e la sua Nanna vicino. Ma in quei giorni, anni, millenni di assenza di mamma, col pannolino che pesa e le piaghe sul sedere, tutto bruciato, prude, e poi la cacca che poi un po’ si secca e graffia, passa la voglia di latte. Il liquido diventa anche puzzoso, pizzica sulla lingua e resta solo tanta sete. Però in quei giorni, anni e millenni da sola Morena parlava con la Nanna, usava paroline e verbi che aveva imparato guardando la tv nei pomeriggi passati a far finta di essere assente per non far venire il mal di testa cattivo alla mamma.

«Dove shda la bella bimba della mamma?» Simona si avvicinò alla bambina sempre immobile nel lettino mostrandole orgogliosa il vestito nuovo comprato al negozio dei cinesi in piazza, verde acido, tutto aderente con tante rifiniture brillanti e quel seno strabordante ai lati che viene sempre voglia di abbracciarla e affondarci dentro, bella mamma cicciosa con tanti profumi intorno. Col nasino si immergeva in quelle essenze da supermercato create per le bambine che ricordano la frutta e i chewingum, mischiate con l’odore ferino della sudorazione da grande agitazione che non mancava mai di completare quell’armonia mammesca. Odori che restavano nella stanza poco arieggiata per giorni e facevano compagnia a Morena quando restava sola nel fine settimana, insieme a Nanna e ai biberon pieni di latte.

«Guarda», si girava vezzosa mostrando le cicce mammesche che si affacciavano da ogni lato del vestito «vedi ch’è bell’ a mamma, il vesdidino per uscire shdasera, ti piasc’ a mamma? È bell, è vero?». Bella mamma profumata di mamma che forse la metterà nel passeggino e la farà uscire con lei dove troverà qualcuno che per giocare le regalerà un pezzettino di cibo croccoso e inebriante. Chissà. «Tutti digono che è proprio bella mamma e tu pure sei uguale», la prese in braccio riempiendola di bacetti e strofinandosi teneramente la bambina addosso, proprio in mezzo a quel miscuglio di miasmi e acrilico a basso costo, Morena apprezzava ridendo e sbavando sulle braccia nude della mamma. Il suono del campanello interruppe quel momento di dolcezza, non raro a dire il vero, e Simona andò ad aprire con la piccola in braccio, dritta su un avambraccio come un trofeo vinto dopo tanto allenamento, così esile e leggera, mai ingombrante la piccola di casa. Si affacciò sull’uscio il viso smagrito e consumato del vicino di casa, Enzo, un ometto pieno di pieghe e rughe su tutta la superficie visibile di un corpo stortignaccolo, lo sguardo triste eternamente dipinto su un volto che sembrava colare a terra, insieme all’attaccatura estremamente bassa di una peluria scura che voleva essere un ciuffo alla Elvis. I jeans potevano essere di una taglia in più o erano le anche ad essere di una magrezza allarmante, con uno stomaco abnorme per quella vita lillipuziana che tentava di calarsi dalla cintura consumata, attraverso il tessuto slabbrato di una t-shirt che bella non fu neanche quando era nuova. Non sappiamo che lavoro facesse, come trovasse i soldi per vivere, pagare l’affitto, mangiare, però sembrava un tipo perennemente impegnato a occuparsi di questioni, averi, situazioni. Potremmo dire che Enzo era uno che mette in relazione persone che volevano qualcosa con persone che offrivano qualcosa.

«Ah che belle le signorine mie, come sta la bamboletta?», cercò di pizzicarla ma la bambina fu subito pronta a sfuggire alle tenaglie nodose dell’amico di famiglia, «mannaggia che pestifera la bamboletta, bella di Enzo! E tu Simonuccia bella, che mi dici? Lo sai che ti ho portato una bella notizia? C’è uno, un amico mio, uno bravo bravo, che vorrebbe conoscere la diva del cinema mia e ti vorrebbe pure offrire la cena, ma pure un regalino se sei brava e carina. Io gli ho detto che ci mancherebbe! Simonella mia è brava e affettuosa, guai a chi dice che sei antipatica! Stasera lo vuoi vedere questo amico? Lo vuoi un regalino?»

Simona aveva lo sguardo perso, stava pensando, soppesando, valutando. Quella sera si preparava a uscire con la bambina per un aperitivo in piazza, si era vestita bene, aveva fatto le foto e le aveva postate su Instagram. Aveva chiesto ai suoi followers se il suo outfit fosse adeguato all’evento ed erano tutti d’accordo sul fatto che stesse benissimo e avevano persino chiesto che lei postasse foto della serata perché il suo pubblico non ne aveva mai abbastanza delle sue pose e dei video in diretta dove raccontava le sue uscite. In molti sapevano come Simona si muoveva nel mondo. Ogni diretta del suo account social registrava decine di migliaia di spettatori durante il live e mentre Simona raccontava di come si stava divertendo con il suo amico appena conosciuto o con la sua bambina, descrivendo emozioni e considerazioni, riportando battute e stralci di dialoghi particolarmente sagaci, piovevano cuoricini sullo schermo dello smartphone e commenti incoraggianti, non chiudere, dicci di più, mi fai morire dal ridere, sei troppo simpa me fai taglia’ te giuro, se me piglia male vengo a vede’ i video tuoi pe’ ride’. Non le sembrava giusto deludere i suoi fans dando loro buca, lasciandoli senza diretta dopo aver promesso di intrattenerli. Però i regali servivano e non solo per mantenere sé stessa e la bambina visto che il marito era fuggito chissà dove senza provvedere a loro. C’era un sussidio, una pensione d’invalidità che le permetteva di vivere, però restare in vita non era abbastanza. Simona desiderava due cose e le desiderava proprio tanto: l’amore come quello dei film e tanti vestiti e accessori da sfoggiare sui social, quindi l’attenzione e la considerazione dei suoi followers. I regali le permettevano di comprare tante cose e sentirsi una donna grande e indipendente. La madre era sempre molto negativa con lei, le rimproverava di non saper crescere la figlia, telefonava continuamente per sapere se Morena aveva mangiato, era stata cambiata e tutto il resto, non la trattava da adulta e le faceva venire il mal di testa cattivo. Doveva dimostrare costantemente di essere indipendente e saper fare bene le cose, questo era il punto.

I regali servivano.

Per fortuna Enzo le presentava spesso amici suoi che la trattavano come una signora adulta ed erano così felici di uscire con lei che le lasciavano sempre soldi in regalo, che sicuramente erano meglio dei fiori, a che servono i fiori? Per questo aveva fatto per anni i provini per entrare a TBB: per guadagnare altri soldi e a breve si sarebbe trasferita nella casa televisiva. I concorrenti accumulavano una bella somma per ogni settimana di permanenza e a lei veniva richiesto di fare esattamente quello che sapeva fare: indossare tanti vestiti e far vedere a tutti quanto era stupenda. Però non era il caso di rinunciare a un regalo e offendere Enzo rifiutando di uscire con un amico che teneva tanto a uscire con lei, «va bene Enzo, fammi sishdemare a Morena e mi preparo. Grazie eh Enzo, grazie mille per tutto.»

Sistemare Morena voleva dire riempire un paio di biberon, cambiarle il pannolino, metterla nel lettino e poi vediamo, se l’amico vorrà continuare la serata da qualche parte o magari le chiederà di stare in casa, nel letto grande vicino alla bambina.

Certi uomini lo fanno.

 

 

Seconda settimana

 

Terrone e Mestizia era una coppia di influenzatori che realizzava e pubblicava su YouTube musica “trabbish” (trap-spazzatura) con un account seguito da 890 mila followers, di cui 370 mila erano stati acquistati tramite agenzia “ItaFollo, solo Followers italiani” per la modica cifra di 8,99€ per 500 follow. I testi erano totalmente incomprensibili, una summa di suoni che ricordavano parole ma non avevano senso, tipo “uescio aaaa miamushiaaaa e stommaaa eee brooo shalvammmmmiii” con video pieni di banconote finte che volavano da automobili scassate, reperite da uno sfasciacarrozze lontano cugino di una zia di Terrone (Nicola Fontanella). Mestizia (Gerardo Pecora) era più un figurante, uno che fa presenza coi balletti più che con la voce, un ragazzotto bassino con due baffetti adolescenziali, amico di Nicola dall’epoca dell’università che nessuno dei due riuscì a finire. Erano quel tipo di ragazzi che risultavano particolarmente simpatici agli emarginati della classe, quelli che non studiano e combattono la noia prendendo in giro ferocemente i compagni, erano gli arruffapopolo che si facevano forza l’un l’altro capeggiando greggi di inconcludenti per poi non prendersi mai la responsabilità delle azioni suggerite agli altri. Forti coi deboli e vili coi forti, di robusta rozzezza, Terrone e Mestizia si presentavano come quelli che dicono sempre ciò che pensano con il linguaggio della strada, che si traduceva con l’insulto continuo contro chiunque espresso in un italiano in stato d’ebrezza. Erano la quota “disturbo”.

Si erano preparati molto bene prima di entrare nel prefabbricato televisivo di TBB, inventando un linguaggio segreto per scambiarsi informazioni senza essere compresi dagli autori, inoltre avevano osato introdurre segretamente un oggetto abusivo che sarebbe stato molto utile per comunicare le proprie bravate anche agli altri concorrenti e magari coinvolgerli in scherzi meschini ai danni dei più deboli. Appena entrati nel programma avevano subito puntato Simona, naturalmente. Non ci fu neanche bisogno di lanciarsi occhiate, non poteva essere altrimenti. Una povera insaccata, senza capacità relazionali, sola, con quegli occhietti bovini che comunicavano il vuoto più assoluto come le finestre spalancate di una casa abbandonata, mancava solo che riempisse la casa di gatti e ne rivendicasse il diritto a non essere sterilizzati.

Pochi giorni prima avevano aspettato che le luci fossero spente e le ultime chiacchiere sommesse fossero cadute nel vuoto dopo l’ultimo sbadiglio e si erano infilati nel letto di Mary.

Nicola fu il primo a sollevare il piumone per controllare un’eventuale reazione scomposta di lei e le mise una mano sulla bocca. Mary non era ancora riuscita ad addormentarsi, persa nei suoi pensieri carichi di disgusto per gli altri concorrenti e al solo pensiero che quella mano la toccasse aveva rischiato di vomitare su quella faccetta spelacchiata che si presentava davanti ai suoi occhi come una gradazione di grigi.

«Sei nel mio lazzo di letto», aveva sussurrato lei, scandendo molto bene le parole «esci da questo pupazzo di letto prima che ti molli un calcio nei baglioni». Nicola non poteva vedere che ombre osservando il viso di Mary al buio ma era certo che la ragazza facesse sul serio e provasse un reale ribrezzo nei suoi confronti, del resto lui e Gerry l’avevano scelta proprio perché aveva quel piglio incazzoso dietro le battute umoristiche che riusciva a sparare come una mitragliatrice senza mirino.

«Scusa, li hai chiamati baglioni davvero? Non sto sognando?»

Mary aveva abbassato minacciosamente il tono come per ringhiare «Fuori. Adesso.»

Lui aveva fatto un gesto quasi impercettibile, con l’indice alzato richiamava la sua attenzione “solo una cosa, una e basta”, lei aveva sollevato le pupille e sospirato appena “avanti, vediamo”.

Nicola aveva quindi estratto un aggeggio dall’orribile calzino grigio e maleodorante, un qualcosa di piccolo che si allungò come una penna e produsse una piccola luce all’estremità. Aveva scritto qualcosa sul suo braccio. Doveva essere impazzito! Era assolutamente vietato comunicare senza usare il microfono e naturalmente introdurre penne e matite per scambiarsi messaggi segreti, nulla doveva sfuggire agli autori, per una cosa del genere si finiva cartolinati dall’account di un ministro. Lei non avrebbe mai accettato di essere coinvolta in una cosa tanto pericolosa, per chi poi? L’omuncolo che tira le caccole? Aveva valutato l’idea di mettersi a urlare, ma in verità l’idea di fottere quei nazi-autori che la costringevano a usare un linguaggio edulcorato a favore di un pubblico di bacchettoni rincoglioniti la stava solleticando parecchio. La minuscola lucina sotto le coperte aveva illuminato la scritta “tranquilla, inchiostro hennè, si cancella anche leccandolo”. Ma grandissimo imbecille, che diavolo c’entro io col tuo inchiostro leccabile…

Con la mano le aveva fatto il cenno di aspettare. Ripulita la lavagnetta improvvisata aveva continuato a scrivere “penna comprata su Amazon, piegabile compatta, lucina con minibatteria, comunicare di nascosto, aiutiamoci andare avanti”. Mary non aveva reagito, era imperscrutabile, combattuta tra l’antipatia nei confronti di quella scimmietta ammaestrata con un ciuffo di peluria preadolescenziale sul mento e il desiderio di possedere quella piccola arma contro i gran sacerdoti de sto cazzo del programma.

“Autori complottano, ci parlano singolarmente, impossibile confrontarci.” Silenzio. Immobilità totale.

Il braccio era stato ripulito nuovamente.

“Possiamo fare casino. Li fottiamo”, in quel momento si era intrufolato nel grande letto a due piazze anche Gerardo, l’altro orrendo membro della coppia Teste di Cazzo ma lei non lo aveva cacciato. Aveva preso la penna e lo aveva battezzato sulla fronte disegnandogli un piccolo pene avvilito e facendo segno a Nicola di pulire anche quella lavagna.

Avevano sorriso e si era divisi subito dopo.

Mary non era più riuscita a chiudere occhio ma aveva conservato un leggero sorriso.

La seconda settimana si apriva all’insegna dei quiz del TBB, domande di cultura generale adatte all’accesso in terza elementare che mettevano molto in difficoltà i vari concorrenti, creando gag di livello discutibile e dando a Mary e al duo Teste di Cazzo delle ottime occasioni di motteggio servite sul piatto d’argento. Gli ascolti non erano ancora decollati e si temeva una recrudescenza di situazioni umilianti da parte degli autori ma per ora tutto andava bene.

Franco Frazzoli, star di Radio Centofinte (anch’essa acquistata dal proprietario della rete) si muoveva agilmente tra un’ostentazione di conoscenze e un’impietosa carica di battute tossiche sui concorrenti. Non temeva nulla, parlava molto liberamente e ogni piccola trasgressione, ogni parola fuori posto, persino una bestemmia, veniva subito perdonata con un dolce rimbrotto da parte di qualche autore in diffusione. Era un uomo sui cinquanta ma con l’ambizione di dimostrarne una decina di meno, capello finto trasandato, abbigliamento casual da barcarolo in località di mare fighetta, scarpette leggere che lasciavano intuire la presenza all’interno di piedini delicati, sempre coccolati da costose estetiste. Un dandy che vuole essere Pasquino, un finto irriverente con la patente da buffone che non deve temere ripercussioni per le battute che fa. Era la quota “spintarella”, inviato nel reality con l’obbiettivo di attirare l’attenzione su di sé e racimolare ascoltatori per la radio del padrone.

Gli influenzatori in gara sembravano perfettamente a proprio agio con le domande alle quali non sapevano rispondere, non erano per nulla imbarazzati, anzi, sapevano che ridere della propria ignoranza avrebbe fatto credere al pubblico a casa che fossero molto autoironici e sicuri di sé, dunque non si sforzavano neanche un po’ a dare risposte verosimili. Funzionava ogni anno: sei un rozzo, possibilmente con una cadenza dialettale agghiacciante, pochi vocaboli a disposizione per spiegarti, conoscenze generali al livello di una pianta grassa, magari ti scappa un rutto dopo i pasti, scorreggina d’apprezzamento per gli uomini – movimento ballo sudamericano per asportare slip dall’internoculo per le donne? Sei uno di noi, sei vero, sincero, ci possiamo fidare. Oppure sei un “modello intellettuale”: possiedi minime nozioni di base che ti permetterebbero di superare gli esami delle medie, utilizzi vocaboli desueti che potrebbero mettere in difficoltà un rozzone di cui sopra (ma non Umberto Eco), ti sottrai alle beghe create dagli altri perché le trovi volgare (mentre quelle che crei tu sulle porzioni di pasta in tavola sono di un’eleganza stellare), se non conosci i capoluoghi delle regioni italiane dissimuli lasciando intendere che hai la testa troppo piena di nozioni elevatissime e qualcosa può sfuggire? Sei un dio mandato in Terra dal supremo creatore di tutti i Piero Angela per illuminare il cammino dello spettatore, sei il referente autorevole, il benevolo detentore di ogni grazia destinato a elevare chiunque voglia seguirne il sacro verbo, cazzo: sei luce, sei la direzione, sei un divulgatore televisivo.

Giò Fraschetta era un trombato da un noto talent show per aspiranti cantanti e ballerini, è rimasto nel programma come talento della danza per due giorni, si è innamorato di una cantante sua coetanea, ha rubato una merendina di notte, è stato ripreso dai professori per non aver rifatto il letto, è stato insultato come un cane dal professore di danza perché aveva un osso del braccio di lunghezza eccessiva e alla fine è uscito dopo un televoto lampo diventando un idolo delle ragazzine su Instagram con ben duecentomila fans reali e sessantamila comprati. Era uno dei pochi influenzatori che un po’ si vergognava di non saper rispondere al quiz serale proposto dal TBB e questo ci rende il ragazzo più simpatico di quanto meriterebbe. Sarà un dispiacere vederlo andar via. Completavano lo schieramento influenzatori: Paolina Pappi, attrice porno che usa i social per parlare di politica e dona una luce speciale ad aggettivi come “trombato” e “sfigato”, aveva una certa dimestichezza con la geografia e sapeva tacere quando era il momento di nascondersi dietro un basso profilo.

Chef Bernardino famoso per un people show nel quale giudicava ristoranti scadenti e tirava calci nelle palle ai cuochi che non sapevano realizzare le ricette da lui richieste, aveva anche una discreta cultura generale ma aveva deciso che si sarebbe prodotto solo nell’arte che effettivamente conosceva meglio, quello di sfamare le fiere, dunque restava in attesa di domande che avessero a che fare con la cultura enogastronomica.

Oriana Unpoditutto che per i suoi seicentomila followers sballonzola gli enormi seni e discetta di abbigliamento pezzotto, geopolitica e diete di truffatori spacciatori di teorie orientali e ayurveda era la summa della disgrazia cognitiva, non solo non sapeva nulla ma quando tentava di indovinare riusciva matematicamente a infilare sempre la risposta sbagliata.

Infine Cannone Antonella, una signora sui sessanta che posta solo sue foto in varie situazioni ordinarie (seduta su una panchina, al ristorante, al parco), senza scrivere una parola, immotivatamente seguita da quattordicimila persone su Twitter benché le sue foto siano visualizzate da una media di trentamila utenti, restava muta e immobile, con gli occhi sgranati come il coniglio sull’autostrada che vede arrivare l’auto che lo investirà, con un sorriso così tirato da far paura a un esorcista.

Durante il quiz serale che teneva incollati milioni di telespettatori, manco fosse diretto da Mike Bongiorno, Lumas Massetta cominciò a fare riferimenti inquietanti alla sua infanzia nel dopoguerra, la povertà, la mancanza di cibo, l’entrata a Roma degli americani… dopo Caporetto.

«Santiddio, si sta confondendo con la Prima Guerra Mondiale», sussurrò Mestizia a Mary, seduta con indicibile fastidio accanto al Duo Teste di Cazzo.

«Non muovete un muscolo, teste di ringhia, nessuno se ne è accorto, lasciatelo in pace» rispose lei cercando di comunicare irritazione e fermezza alle odiose nullità parlanti. Le vip più attempate erano propense a difendere l’amico con il quale formavano una sorta di protettorato delle vecchie glorie, dunque Dallaspesa e Lisciarelli gelarono ogni muscolo del loro corpo, mentre Erminio Cede stava studiando alcuni peli superflui che gli facevano capolino dal naso attraverso il riflesso di una finestra e non si accorse di nulla.

L’orrendo Frazzoli si illuminò «Uè Lumà, preso freddino alla testa a Vittorio Veneto?» Lo osservava con quel ghigno orribile, la bocca che simulava un sorriso lento e spaventoso come uno Stregatto, gli occhi ferini immobili sulla preda in attesa di una risposta per poter infierire e mordere e straziare.

Lumas aggrottava le sopracciglia, era confuso, cercava rifugio nello sguardo degli altri che sempre gli avevano dimostrato amicizia e comprensione «Come? Cosa? Ma no Vittorio Veneto, io sto a Prati… Mo’ che c’entra Veneto? È proprio un’altra zona…» cercando di capire perché la discussione fosse scivolata su un quartiere romano.

I giovani erano in difficoltà, tranne i beoti del Duo Teste di Cazzo che si lanciavano occhiatine divertite come fossero aereoplanini, mentre Lisciarelli stringeva le spalle di Lumas difendendolo con uno scudo invisibile «Su, su, non confondiamo Lumas che ci stava raccontando una cosa interessante», allarmata all’idea di dover assistere a un’impietosa carneficina verbale scatenata dall’Orrendo radiofonico.

«E ma qui c’abbiamo uno che ha conosciuto l’Armandone Diaz e non ci facciamo raccontare nulla? Dicci tutto, dai disciùles! (muoviti)», punzecchiava l’anziano col forcone avvelenato della sua vacua malvagità.

«Ciaparatt!» se ne era uscita Mary, così, all’improvviso, senza preavviso. Era una parola che aveva imparato da un’amica milanese, l’aveva fatta molto ridere ed era simpatica, suonava bene, voleva solo dire “buono a nulla” e calzava come un guanto su quel cialtrone radiofonico. Non era una buona idea esporsi, soprattutto insultando un raccomandato, bullo, tracotante imbottito di odio superfluo come Frazzoli, ma ormai il gioco era fatto.

Il mellifluo agitatore si era voltato verso Mary e le aveva lanciato una manciata di spilli in rapidissima successione dagli occhi. Una minuscola nullità, una caccoletta rinsecchita buona solo a dar fastidio durante una sessione di scavi archeologici nasali si era permessa di rispondere al dio radio, al monumento all’irriverenza, il non plus ultra della satira politica e sociale che non teme di pronunziare la parola “cazzo” in una grande emittente FM.

Frazzoli si sentì oltraggiato.

Nipote di un’eminenza di un grande marchio americano di merendine al burro d’arachidi, aveva vissuto per molti anni a Houston, capitale dei trigliceridi, per poi trasferirsi in Italia negli anni ’80 e cominciare la sua carriera in radio, allora prateria immensa e aperta a ogni sperimentazione, grazie a quell’aspetto internazionale e alla doppia cittadinanza. Aveva costruito la sua carriera su un umorismo sempliciotto spacciato per satira, un linguaggio sprofondato nel milanese dei primi film di Christian De Sica e un ostentato coraggio declinato nel ricorso all’inutile turpiloquio che gli veniva concesso in via eccezionale, solo in virtù degli straordinari concetti espressi.

Era una di quelle persone tracotanti che ti indicano la direzione dichiarando però di non aver voglia di farlo, alle cui freddure ridi perché universalmente riconosciute come brillanti e non perché ti provochino ilarità. Una fiera a sangue freddo che si è abilmente inserita nei convitti che contano, esibendo la carta dell’americanità e mostrandosi a proprio agio in ogni salotto, come se l’ambiente radiofonico fosse il suo habitat naturale, gli calzasse perfettamente addosso, gli spettasse perfino. Così si era costruito negli anni il personaggio del giullare di corte che non teme di dire ciò che pensa e fa tremare l’imperatore, proferendo pompose banalità che naturalmente non nuocevano mai all’editore, quel megadirettoregalattico per il quale Frazzoli recitava il ruolo di Calboni. Ora si trovava in un reality televisivo nel quale dichiarava di non voler stare perché si annoiava a morte e mentre le sue labbrucce insidiose proferivano quell’immensa bugia, il suo ego, che per inciso aveva raggiunto le dimensioni della burocrazia italiana, gli lanciava segnali di pulsante soddisfazione fisica, come uno straordinario stato prolungato di estasi orgasmica.

Aveva subito fatto amicizia, o meglio, era diventato riferimento etico e gastronomico per tutti i giovani tranne Mary e il duo Teste di Cazzo che faticavano a fingersi succubi della sua appiccicosa autorevolezza, mentre i gli anziani vip lo temevano in quanto raccomandato con delega di perculo e fingevano di trovare la sua carriera e i suoi pensieri estremamente degni di nota, evitando accuratamente di inciampare nelle trappole delle sue allusioni offensive.

Davanti alla reazione spontanea di Mary, il borioso radiofonico fu prima risucchiato da un vortice di incredulità dolorosa e poi risputato in una dimensione di collera e desiderio di rivalsa immediata, perché certe offese, se restano a decantare nella mente delle persone, rischiano di erodere l’immagine pubblica che con tanta difficoltà cerchiamo di costruire nel tempo. Basta lasciare che passi un solo segnale di debolezza, un frammento di tentennamento, il fantasma di un’incertezza e il corso della tua vita può prendere una direzione del tutto inaspettata. L’orrendo radiofonico decise che quella questione andava sistemata immediatamente «Uè, la bambina parla, la Madunina l’ha fatt el miracul! (è un miracolo

Silenzio, tutti concentrati e incuriositi da quello scambio di frecciatine come davanti a un bar dove sta per cominciare una rissa.

Mary proprio avrebbe voluto evitare uno scontro, non desiderava che quello spiacevole programma diventasse un reality sulla sopravvivenza ma quel rozzo, perfido individuo le solleticava pessimi istinti e riportava in superficie, dal profondo dell’inconscio, le sensazioni provate durante anni di malversazioni subite a causa del fratello maggiore, il gerarca minore della famiglia, deputato al controllo delle finanze di casa e della sorella.

Comunque, a quel punto doveva rispondere qualcosa «Per il tuo leggendario senso dell’umorismo invece non c’è niente da fare, par di capire.»

Ecco, era fatta.

«Eh bambina, tu vuoi giocare coi grandi», Frazzoli la guardava con finta benevolenza. A quel punto si mosse il Duo Teste di Cazzo, senza motivo se non una oggettiva mancanza di furbizia, cautela e logica del gioco, sfondando il silenzio con una sequenza di risatine e grugniti deliziati. Mary si chiese per quale motivo quegli encefalogrammi piatti si sentissero in qualche tipo di relazione con lei, come se facessero parte del club degli illuminati del reality, solo perché condividevano un segreto. Non aveva bisogno dell’appoggio di due barbabietole che attiravano guai come un ubriaco con un portafoglio gonfio in bella vista.

Ma non era il momento di pagare quel debito e Frazzoli decise di rimandare la partita per giocarla su un altro campo e con altri armi «Naaaa! la bambolina non si accompagnerebbe con due barlafus (persone inutili)», poi scandendo bene ogni parola come per prendere bene la mira «la bambolina non si accompagnerebbe con due pa-ra-gno-sti come voi», indicando il duo Teste di Cazzo che aumentavano il volume delle risate e dei risucchi tra un versetto acuto e l’altro. L’avvertimento era chiaro, è appena cominciato il tuo incubo, la rissa si svolgerà altrove.

Simona giaceva accartocciata su una sedia, con gli occhi aperti e la testa chiusa.

 

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