The Big Borderline

The Big Borderline

 

 Un mese prima dell’inizio

 

Simona posava davanti allo specchio in mutande e reggiseno con aria assente, immobile, rimirandosi ma non vedendo nulla. Cosa pensasse in quei non rari momenti d’assenza non lo sappiamo neanche noi, qui, dal nostro punto d’osservazione privilegiato. Una mano si muoveva lentamente, le dita sembravano serrare qualcosa per poi lasciarla andare, le sopracciglia sottolineavano un discorso mentale che forse lei stava facendo con qualcuno nella sua testa.

Faceva caldo.

La piccola giocava svogliata nel lettino vicino al letto matrimoniale con un sonaglino da neonata ma aveva già due anni e quel piccolo attrezzo rumoroso non le interessava più da tempo. Farfugliava sillabe in ordine casuale, non tentava neanche di scavalcare la traversina, anche se l’operazione sarebbe stata facile per una ragazzina ormai grandicella come lei. Semplicemente non ne aveva voglia o forse ricordava che uscire da quel lettino era male e succedono brutte cose se una bambina lo fa.

Non c’era papà, aveva lasciato la mamma prima che lei nascesse, però c’erano tanti sconosciuti che lei non ricordava, tranne il Rospone, una specie di rettile come certi personaggi dei cartoni animati che guardava il pomeriggio nella tv davanti al lettone, uno spilungone pieno di segni in faccia che sembravano cose orrendissime che una volta ha voluto dormire nel lettone con mamma e anche lei vicino. Conosceva anche Gaetano che mamma chiamava fidanzato, però si faceva vedere poco in casa, era sempre mamma ad andare a trovarlo e allora tutto diventava ancora più noioso e il tempo non passava mai.

Simona stava provando una magliettina strizzata e si rimirava con soddisfazione, bello il cagnolino disegnato, il colore rosa del tessuto è troppo dolce, i capelli stoppacciosi tirati su con impegno e infilati in un fermacoda nero le conferiva quell’aria da ragazzina impudente. Prese il telefonino e cominciò a mitragliare autoscatti da postare su Instagram dove tante persone la ammiravano e le lasciavano commenti quasi sempre lusinghieri sulle sue scelte di outfit, le consigliavano bei posti da visitare e dove andare a mangiare con quell’abito. C’erano anche i maleducati che la criticavano e le davano dell’esibizionista, ma santa cacca, non vedevano come funzionano i social? E Belen non mostrava sempre i suoi completi intimi? Da tempo ormai aveva capito che il mondo era pieno di invidiosi che non vanno ascoltati, anzi, più la attaccavano e più lei era evidentemente oggetto di ispirazione e venerazione, bene così. Il telefono le squillò tra le mani mentre stava per pubblicare una foto scelta tra una trentina di scatti con espressioni diverse “oggi il sole splente mi viene voglia di una passeggiata con la mia figlia bellissima voi vi piaccia la maiettina nuova?”... caricamento non riuscito, questa cosa le procurava sempre una fortissima irritazione e poi veniva quel mal di testa che faceva fare cose cattive.

Era la madre che voleva sapere se la piccola Morena stava bene e aveva mangiato. Certo che aveva mangiato, per chi la prendeva la madre? Dopo venticinque anni di convivenza con questa donna noiosa che l’aveva sempre trattata come una ragazzina, Simona si era sposata tre anni prima, incinta, col preciso intento non celato di uscire da quella casa e liberarsi dalle attenzioni materne. Dopo pochi mesi il marito l’aveva lasciata in un piccolo appartamento nella casa popolare e lei aveva avuto la bambina il mese successivo, accompagnata in ospedale dalla madre. Per qualche mese la neo nonna era stata molto presente e aveva aiutato Simona con le varie incombenze da mamma, le faceva la spesa, la accompagnava dal pediatra, le spiegava come mantenere pulita la creatura, ma la sua presenza fu sempre più motivo di contrasti e malumori da parte di Simona, cominciarono i mal di testa cattivi e qualche urlo di troppo che portò i vicini ad allertare le forze dell’ordine. La nonna decise che la scelta migliore fosse vigilare su quella figlia fragile da lontano, telefonandole spesso e accertandosi dello stato di salute della nipote prima che ulteriori incidenti spingessero i servizi sociali ad allontanare la bambina. Se guardi i programmi di informazione pomeridiani sai bene come funziona: quelli arrivano, ti prendono i bambini, li affidano alle strutture e poi li fanno adottare e non li vedi più.

Meglio essere accorti.

Meglio vigilare.

 

 

The Big Borderline

 

Il cast era composto da dieci concorrenti provinati tra i più illustri esponenti dell’influenceraggio contemporaneo, nessuno che avesse meno di ventimila followers sarebbe stato considerato dai bravi autori del programma, più cinque vecchie glorie appartenenti al mondo antico: assatanati ex-qualcosa, preferibilmente scongelati negli ultimi dieci anni da qualche importante talk show per pontificare di politica, geopolitica, cucina, diritti civili, misoginia e misure ideali del corpo femminile, nonché teoria e tecnica del balletto perfetto sul bancone di uno studio televisivo. Il cast dei “veterovip” veniva effettuato alla fine, a ridosso dell’inizio del programma, non per una questione di suspense ma per essere sicuri che i personaggi del vecchio testamento televisivo fossero ancora in vita, almeno per la puntata d’esordio.

Perché un grande cantante italiano venisse considerato era necessario che esso avesse partecipato a un minimo di cinque Sanremo nel secolo passato, invece un presentatore doveva aver condotto l’ultimo show negli anni ’80, con deroga primi anni ’90 solo se nel frattempo aveva cambiato sesso o orientamento sessuale, invece alla soubrette passatella bastava aver partecipato a un programma di Pingitore oppure, nel caso fosse stata vestita davanti alla telecamera, aver indossato spalline a punta con paillettes e capelli cotonati più alti di dieci centimetri.

Anche gli attori trovavano spazio nel reality principale della tv italiana ed era necessario che avessero avuto interruzioni di carriera dovute a scandali o lutti, preferibilmente appartenenti al contesto “soap italiana”. Perfino i figuranti in programmi per bambini (che erano bambini trent’anni prima) e contenitori di divulgazione scientifica erano ben accetti, purché caduti in disgrazia da almeno dieci anni.

Le linee guida erano comunque molto indicative perché metà del cast veniva imposto direttamente dall’emittente, il cui padrone era anche a capo di un partito al Governo e usava creare una splendida alchimia tra i dipendenti delle varie aziende in suo possesso, dunque poteva capitare che un personaggio che avesse esordito ballando in un programma televisivo diventasse Ministro o First Lady e un presentatore di contenitori fantapolitici diventasse agevolmente direttore di un quotidiano collaterale al Governo, mentre una Senatrice poteva diventare ospite fissa in un talk show insieme al marito nullatenente. Una grande famiglia composta dagli stessi volti che facevano compagnia allo spettatore, occhieggiando dal servizio del tg serale per poi riabbracciarti un mese dopo dalla cucina di un programma culinario, a volte col potere di proporre emendamenti, a volte con quello di salare l’acqua mentre ti insegna una ricetta di una sua zia veneta.

Il pubblico adorava questa confusione e la possibilità di rivedere gli amati ex presentatori vallette moglidì ministri defenestrati con delega al malcostume senza portafogli in un reality che tenesse loro compagnia tutto il giorno, mostrando tutta la povertà che i concorrenti non avevano avuto modo di sfoggiare nelle carriere precedenti.

I giovani influenzatori venivano presentati come persone comuni con nessun talento particolare e invece, nulla, era esattamente così. Pur tuttavia non rappresentavano il pubblico reale, riuscivano comunque a essere “altro” e non per quel quantitativo di egocentrismo che certo era particolarmente visibile nel loro essere dipendenti dalla fotocamera, ma nello strato di pelle che affiorava subito sotto il trucco abbondante. Essi erano trasandati, trascuravano la propria igiene fisica e interiore, si perdevano sotto appena due millimetri di fondotinta e ogni esternazione veniva filtrata dall’idea che essi si erano fatti del pubblico che li osservava.

Anche nel fisico erano diversi dal pubblico medio avendo tempo a sufficienza per dedicarsi alla palestra e naturalmente, per essere unici e particolari, facevano largo uso di tatuaggi che signora mia non se li fa nessuno, così che per essere riconosciuti all’interno del reality dovevano indossare delle targhette col proprio nome.

L’ultima edizione fu preceduta da un’imponente campagna pubblicitaria per informare il pubblico che il programma era stato completamente reinventato, tirato a lucido e tutto sarebbe stato nuovo e diverso. Innanzitutto, il nome non avrebbe più incluso l’aggettivo “Famous”, per dare l’idea allo spettatore di vedere gente comune alle prese con rapporti interpersonali comuni. Eppure la quota jurassic vip restava invariata per creare l’effetto “io questo l’ho già visto da qualche parte, uguale uguale alla commessa del supermercato, ecco chi mi ricorda”, sempre molto gradito al pubblico sveglio e molto attento.

Inoltre il linguaggio sarebbe stato depurato dal turpiloquio del quale si era fatto largo uso nelle edizioni precedenti creando polemiche che non avevano attirato nuovo pubblico e problemi col garante per l’infanzia. Da oggi in poi ci si potrà insultare ma senza proferire scurrilità, dunque il gioco diventa più complicato e la vittoria più meritevole, sarà più avvantaggiato chi ha fatto larga esperienza di Settimana Enigmistica e sarà in grado di dire a uno stronzo che è uno stronzo senza dire “stronzo”.

Ampio spazio ai sentimenti e alle storie famigliari interessanti con varie opzioni a disposizione: il divorzio dei miei genitori mi ha sconvolto e da allora non sono più la stessa persona, ho fratelli con cui non parlo perché ci stiamo sul cazzo (con possibilità di aggiungere eventuali implicazioni con eredità e truffe), mio padre è uscito per comprare le sigarette e manco fumava, ho un trauma talmente grande che nemmeno io capisco da dove deriva ma intanto mi sento strano.

Un copione molto aperto da poter recitare con varie opzioni da poter combinare ma sempre sotto la guida dei sapienti autori che guidavano solerti la totale spontaneità dei concorrenti.

Dal primo giorno si verificarono dinamiche interessantissime sulla suddivisione dei compiti e soprattutto delle pulizie. Una grande cantautrice di musica popolare, Carla Lisciarelli (nome d’arte scelto per ricordare il tipo di musica che faceva nell’epoca in cui si esibiva felice davanti a Hitler) si era subito resa protagonista di discussioni notevoli sulle tecniche di pulizia più adeguate a mantenere il prefabbricato igienizzato e profumato. Era uno dei pensieri fissi che le si erano insinuati in testa nel periodo in cui le richieste lavorative avevano avuto un collasso e il vizio si era incrostato nella sua vita.

Non era particolarmente incline ai lavori domestici Polonio, un ventitreenne veneto che si era presentato come caldaista, semplice, solare, amante del lavoro, del vino e delle belle ragazze. Sul suo profilo Instagram contava ventiduemila followers ai quali raccontava barzellette razziste e scorreggiava in italiano e in veneto.

Notevole la presenza di un anziano prestigiatore che non usava più le carte da gioco per i suoi numeri da almeno trent’anni ma ne faceva largo uso per giocare d’azzardo e perdere molto, l’ottuagenario Mago di Abbiategrasso, noto anche come Lumas Massetta: un concorrente in evidente stato di decomposizione mentale, attivissimo negli scherzi con la schiuma da barba nelle scarpe dei ragazzi e la battaglia dei cuscini.

Da subito amicone di Lumas l’ex volto storico del tg serale, il giornalista Erminio Cede, particolarmente incline alla tristezza e di essa egregio portatore. Ex giornalista, ex viveur della Milano da sniffare, ex talent scout di indicatrici di meteo senza nome, attualmente ribollente valvola di malumori e rivendicazioni personali. Subito ribattezzato “2 Novembre”.

Tutti, conosciuti e non, erano in attesa di ricevere indicazioni palesi o velate sul copione da mettere in scena e non osavano prendere iniziative creando litigi per la pasta al sugo o inizi di amorazzi rigorosamente etero, in quanto erano consapevoli del fatto che il minimo disallineamento con le volontà dei padroni di casa avrebbe portato a un esilio totale da ogni rete televisiva. Si muovevano tutti in maniera scomposta, disorientati, come ubriachi in un pronto soccorso.

Simona, una delle influenzatrici meno potenti del gruppo (appena cinquemila followers affezionati alle sue foto con outfit imbarazzanti) avrebbe dovuto deliziare il pubblico con il suo improvvido utilizzo della lingua italiana e probabilmente ci si aspettava da lei che sfilasse rimirandosi attraverso ogni specchio con interesse e soddisfazione, sfoggiando la propria, personalissima idea di sofisticatezza. Simona era la quota “gioiosa disgrazia” di quell’edizione. Da subito non rispettò i principali parametri che le erano stati affidati nel silenzio della stanzetta dove le fu fatto firmare il contratto per TBB.

Molto pensierosa, distante, interagiva poco persino in diretta, durante la prima puntata di presentazione dei protagonisti, tanto che gli autori cominciarono subito a lavorare a una storyline che permettesse l’uscita anticipata della concorrente con l’entrata di un supplente già pronto: Poldo Richardson (Gerardo Coloricchio) influenzatore con diecimila followers, specializzato in video tematici nei quali affrontava le macchine per il potenziamento in palestra vestito e truccato come i personaggi dei cartoni Disney. Mentre Poldo si preparava all’entrata, pieno di speranza, Simona cominciò la sua personale interpretazione fuori copione.

Le lacrime sgorgarono dopo appena due giorni dall’entrata, ma non erano rumorose, sguaiate, ingombranti, bensì nascoste, intime, come se fossero espressione di una composta, autentica commozione. Evidentemente la donna sapeva anche recitare. Segniamocela, si appuntò un autore. Tutta accartocciata in una sorta di tubino estivo blu con strisce dorate a sottolineare i fianchi stanchi condensati sotto i salsicciotti delle ascelle, se ne stava su uno dei chiassosi divani del prefabbricato con aria assente e le borse sotto gli occhi appena inumidite. Una buona rappresentazione di disagio e sofferenza. Segniamoci pure questa.

Una nota “indicatrice di divani da televendita” sui settant’anni e lascia, ex conduttrice alla disperata ricerca di un nuovo programma da almeno vent’anni, Clarissa (detta Rissa) Dallaspesa, comprese subito il potenziale televisivo di un confronto con quel salice piangente e le si avvicinò per essere sicura di far parte della prima dinamica ufficiale del programma. A volte il disgusto per il contatto fisico può essere dissimulato come elegante rispetto degli spazi vitali altrui, così Rissa si sedette alla giusta distanza, con magistrale talento nel calcolo dell’angolazione giusta rispetto alla telecamera nascosta di riferimento, affinché questa le inquadrasse il profilo migliore. Quella ruga fra le sopracciglia poteva e doveva restare nascosta.

«Tesoro, non puoi restare qui in disparte tutto il giorno, lo capisci che così non ti passerà mai il tempo e poi dovresti goderti questa splendida occasione» abbassò la voce in modo che restasse comunque molto chiara e ben udibile a casa, nell’espressione di quella straordinaria magnanimità e materna indulgenza «… poi lo sai che se non interagisci con gli altri sarai la prima a essere votata per l’eliminazione! Dimmi, che hai?»

Lo sguardo vacuo della tonda influenzatrice si perdeva inutilmente oltre una finestra che dava sul giardinetto artificiale dove tutto era di plastica o cartone colorato «Niende g’ho, la bambina mia mi manga assai», lei stessa sembrava una bambina lamentosa e abbastanza fastidioso era pure il tono di quella vocetta stupidita ma Rissa era una professionista e nulla l’avrebbe indotta a desistere dal diventare la protagonista della prima storia della quale parlare durante la diretta serale. Una mamma e una bambina, cosa c’era di meglio? Nessun turpiloquio, nessuna divergenza che rischiasse di macchiare la sua fulgida carriera di paciera in tv. Tanti anni prima aveva condotto su quella stessa rete una sorta di tribuna televisiva dove figuranti ammaestrati litigavano per il possesso di un posacenere o il passaggio su uno sterrato tra masserie e lei rappresentava quell’angelo saggio e misericordioso che benediceva i giusti e riportava i malandrini sulla retta via con i suoi buoni consigli materni. Nessuno scandalo la poteva lambire perché lei era saggia, autorevole di riflesso in quanto nipote di un noto prelato e non diceva mai le parolacce.Gli occhietti piccoli scintillavano davanti alla speranza di quel ritorno al passato, quando era davanti alle telecamere con la funzione di guida saggia e foriera di buon senso e umanità «ti capisco cara, anche se non ho avuto figli ho tanti nipotini e per loro sono come una mamma» simulazione di commozione «mancano tanto anche a me i miei tesori» non guardare la telecamera, non sbirciare il tuo riflesso sul vetro, procedi con naturale spudoratezza «sai che ti dico? Quando avrai questi momenti di tristezza verrai da me e ne parleremo insieme, vero?»

«mmm»

«Era un sì, cara?» piccola fetente analfabeta, se non mi fai da spalla io come diavolo faccio a portare avanti sta pantomima? Sorridi… «ma certo che era un sì, adesso ci penso io a te, sarai una mia nuova nipotina qui dentro».

 

 

Prima settimana

 

Gli autori avevano specificato che alle due di notte avrebbero spento tutte le luci in casa e i concorrenti avrebbero dovuto dormire, evitando di fare scherzi notturni, chiacchierate sottovoce, sesso.

Maria Franca “Mary” Barberi, influenzatrice suo malgrado di trent’anni, autrice per un blog collettivo di umoriste, sarebbe stata felicissima se avesse potuto andare a dormire quattro ore prima ma questo sarebbe stato impossibile e quindi aveva semplicemente provato ad adattarsi. Come sempre. Adattarsi a tutto.

Era la quota “buon umore” e sapeva di dover sempre essere in tiro per creare una gag, rispondere con una battuta, fare faccette buffe, essere ridicola, stando sempre attenta a non infrangere le decine di regole che le erano state dettate prima della firma del contratto per partecipare al programma.

No bestemmie ed era facile perché Mary non aveva l’abitudine di vomitarne, peraltro la irritavano moltissimo e non comprendeva come persone civilizzate potessero farne uso. No liti violente, però cosa intendessero per violenza non era chiarissimo, quindi meglio evitare contrasti.

No turpiloquio, e che palle! No espressioni di disprezzo nei confronti dello sponsor, per carità, anche questa sarebbe una bestemmia ma era bellissimo cullarsi con la fantasia di una valletta animalista degli anni ‘90 che insultava lo sponsor pellicciaio e il presentatore che interrompeva tutto e aggrediva l’oltraggiosa attivista dei diritti degli animali, magari, che bello sarebbe. No rapporti sessuali completi, parziali, raccontati, qui converrà ripiegare su cucina regionale e etologia, unici argomenti rimasti liberi, par di capire.

Sì innamoramenti, manifestazioni di nostalgia per i parenti a casa, sì commenti di approvazione rivolti al Governo in carica evitando possibilmente gesti come il saluto romano che tuttavia non comporterà l’esclusione ma solo una parziale ammenda da parte del conduttore, sì nudità ad esclusione degli organi genitale per entrambi i sessi e dei capezzoli per le donne, sì docce frequenti e abuso di attività ginnica.

La lista delle linee guida era molto più lunga ma Mary aveva memorizzato l’indispensabile.

Dopo i primi tre giorni era già stremata per le chiacchierate banali dalle quali non poteva fuggire, anzi, era tenuta a partecipare a ogni simposio sulla mamma bellissima uguale uguale a te, la mia vita difficile perché non mi capisce nessuno eppure io sono solare, mi piacciono la musica, gli animali e viaggiare (ma guarda, io invece amo il casino dei cantieri, stacco la testa ai gatti e se mi regalano un biglietto per New York mi incazzo come un daino afgano), e poi le diete e le punturine sulle labbra e di che segno sei? Sì ma l’ascendente, la casa, i pianeti, i cazzi che ve se portano, irritanti bestie di un satana minore!

Comunque Mary aveva bisogno di soldi, proprio per uscire da tutto questo mondo di ostentata banalità, da quel blog femminile nel quale sperava di crescere come autrice e invece aveva imparato ad accettare che i suoi articoli fossero sistematicamente stuprati e menomati da editor che sapevano cosa attira i lettori.

Devi essere chiara, semplice, fare battute comprensibili, senza sottintesi, devi far sorridere anche l’ultimo imbecille che fa gli auguri a tutte le donne su Facebook il 6 Gennaio o che l’8 Marzo dichiara solennemente che la donna si festeggia tutto l’anno, santiddio! Ore passate a esprimere idee, concetti, dare forme piacevoli e originali alle frasi, scegliere le parole più adatte, studiarne i significati, creare metafore d’impatto, chiarire sempre meglio concetti complessi, poi arrivava la draga dell’editor e riduceva tutto in una strisciata di concime, lavorato e imballato, pronto per il signor Sei gennaio.

Gli articoli viaggiavano bene, venivano letti e commentati sui social con grasse risate cavalline e tripudi di risposte sgrammaticate, anch’esse di una banalità pari solo all’inutilità degli articoli ai quali si riferivano. Tutti quei pezzi erano firmati con pseudonimo perché naturalmente Mary si sarebbe vergognata di essere associata a certe atrocità ma nel frattempo scriveva racconti veri, opere del suo ingegno che nessuno avrebbe avuto la possibilità di violare con aggiustamenti imbecilli perché il lettore non capisce.

Inviava le sue vere creazioni alle case editrici e alle riviste on line ma sebbene ricevesse risposte positive, ogni volta le veniva chiesto di “partecipare attivamente alla promozione dell’opera organizzando lei stessa presentazioni nelle librerie o procurando alcune centinaia di prevendite”, tradotto “l’autrice deve fare metà del lavoro della casa editrice, senza essere pagata per farlo, perdendo i diritti della sua opera che le frutterà solo un 10% sul venduto, inoltre, prima di cominciare a stampare copie, la casa editrice vuole mettersi in tasca qualche migliaio di euro sicuri spillati a amici e famigliari della sopracitata autrice, desiderosi di aiutarla a realizzare il sogno di essere pubblicata”. E mettiamoci pure un bel vaffanculo alla dignità della scrittrice.

Adesso aveva l’occasione di guadagnare un po’ di soldi partecipando al TBB per poter cominciare ad autoprodursi e far conoscere finalmente le sue vere creazioni. Non aveva neanche più paura di sputtanare la sua immagine associandola a quei pezzi osceni che le avevano permesso di ottenere un po’ di visibilità, perché al momento opportuno avrebbe sfruttato l’occasione di essere diventata popolare per rinascere autrice di livello superiore.

Il pubblico dimentica in fretta e tu resti solo l’ultima versione di te stesso, su questo contava Mary.

Intanto doveva continuare a fare la yoyo-bro-hey del reality perché gli autori l’avevano scelta per fare questo e se avesse cercato di uscire dal personaggio avrebbero obbligato gli altri concorrenti a isolarla e farla fuori dal gioco. Esistevano delle occasioni durante le quali, da regolamento, le telecamere sempre vigili sui vari concorrenti venivano spente e ufficialmente si trattava di colloqui giornalieri con psicologi chiamati ad aiutare i concorrenti a sopportare la reclusione forzata nella casa. Il pubblico ci credeva da trentasette edizioni. In realtà, durante quelle ore a porte chiuse gli autori indottrinavano i vari personaggi su come portare avanti il copione corale. É qui che ti fregavano: al minimo tentennamento si sarebbe venuta a creare una situazione tale che non solo il concorrente sgradito sarebbe uscito ma nei casi più gravi, sarebbe stato coperto di ingiurie e nefandezze, col proprio microfono chiuso e nessun modo di ribattere alle accuse di branco e conduttore. Non avrebbe trovato microfoni disponibili neanche fuori dalla rete televisiva che ospita TBB perché nessuna testata era totalmente libera da legami con l’imprenditore e capo politico che possedeva praticamente tutte le televisioni italiane. Nel caso più favorevole rischiavi di sparire da qualunque media tradizionale, senza possibilità di riammissione. Era successo cinque anni prima a una presentatrice ottuagenaria che si illudeva di poter dire qualunque cosa in virtù dell’età avanzata: ella cominciò a esprimere dei pareri sull’identità sessuale di una nota ballerina vincitrice di un people show, mentre gli altri concorrenti restavano muti, le facevano segnali con gli occhi, la osservavano increduli e terrorizzati. La sera stessa si verificò un incidente acustico, sembrò che alla povera donna fosse uscita dalla bocca una bestemmia e fu così cacciata dallo show con ignominia e senza possibilità di spiegare. I famigliari la stanno ancora cercando.

Esisteva un caso ancora peggiore: potevi essere preso di mira da uffici stampa e spin doctor dei politici da guerra social in coalizione col padrone della rete, i quali ti cartolinavano e suggerivano alle masse isteriche di insultarti e minacciarti. Non era facile restare rilassati e concentrati sul proprio canovaccio.

L’importante era seguire le regole e non dimenticare le direttive quotidiane degli autori, poi, uscita da quell’orrendo ritrovo di zombie monocellulari, avrebbe incassato i soldi dell’ingaggio e avrebbe prodotto i suoi libri da vendere su Amazon. Pazienza e attenzione.

C’era da imparare dalle vecchie glorie, da decenni masticate, digerite, espulse e nuovamente riproposte sul piatto della tv come piatti gourmet d’avanguardia, impiattati ad arte per sembrare quasi delle novità assolute perché i palati del pubblico non ne avevano ancora assaporato certe sfumature. Consapevoli e pronti a tutto per accaparrarsi i posti migliori nelle trasmissioni di domani, scippate agli influenzatori che già si sentono arrivati ma, belli miei, non ne avete leccati abbastanza di culi per sperare di far fuori certi rettili dal sangue gelato.

La notte del quarto giorno Mary incontrò Terrone del duo di influenzatori Terrone e Mestizia.

 

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