La regina delle ombre
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La regina delle ombre

 

Quella mattina, in palestra, mentre strofinava le mani sudate sui pantaloncini, la chiamarono ancora una volta per ultima nel formare le squadre di pallamano, dall’altro lato della palestra la sorella segnava canestri su canestri a basket, non le piaceva condividere con la 3° C le ore di ginnastica, perché Sam deve esserci sempre? sua sorella ride e le sue amiche sghignazzano, è perché mi hanno scelto ancora per ultima, vero?, l’ha chiamata sfigata, Sam sai che non si fa, la professoressa te lo ha già ripetuto parecchie volte, ma tu ignori quelli che mi difendono; stavolta in palestra lo hai fatto davanti alla mia classe e anche alla tua, ridono sempre tutti alla fine, sto per piangere, ma non devo, la mamma dice che sono grande e non devo piangere, è difficile con una sorella come te, perché sono voluta venire nella tua stessa scuola superiore?

Le tirarono la palla, questa le rimbalzò in testa e scivolò fin dentro al ripostiglio degli attrezzi, era una porta buia sotto gli spalti, valla a prendere, dissero due di quelli che dovevano essere della sua squadra, Sara attese, quella porta buia non le piaceva.

Sam incalzò: Cos’è? Hai una fifa blu dello sgabuzzino, eh? nemmeno le risposi, ma dov’era la prof in quei momenti? Sara varcò la soglia della porta buia, non vedeva dove fosse finita la palla, il ripostiglio si allungava per almeno cinque metri a destra e a sinistra, la luce non aveva mai funzionato, era pieno di cesti chiusi, gabbie di metallo con dentro palloni, aste appoggiate al muro, clavette sparse in contenitori, dov’era la palla? Vide la fonte di luce della porta diventare sottile e poi sparire del tutto, delle risate all’esterno e un clang, adesso vediamo come esci, era la voce di Sam a dirlo, ancora lei!, non le ho fatto niente eppure mi ha chiuso dentro, anzi, mi hanno chiuso dentro!

Sara andò a battere sulla porta, fatemi uscire!, le risate si stavano allontanando, niente da fare, aspettò che gli occhi si adattassero al buio e raccolse la palla che si era incastrata sotto a un cesto di metallo, si rialzò e batté la testa contro il quadro delle luci che sporgeva dalla parete, quelli della sua classe non le avrebbero aperto, avevano altre palle, la prof aveva estratto l’intero cestone, l’avrebbero lasciata lì dentro continuando a ridere, ridono di me che a ginnastica proprio non ce la posso fare, le si stavano formando dei goccioloni sul bordo dell’occhio, con la mano si tastò la nuca, le stava già uscendo il bernoccolo.

Non era sempre stata così, quando era alle elementari e Sam alle medie era un’altra cosa, le voleva bene, quando si ammalava Sam rimaneva accanto al letto il più possibile, le leggeva le storie, le portava l’acqua, o la medicina, non la abbandonava mai, se non per andare a scuola. Era sempre stata con lei, sempre nel letto accanto. E adesso? Adesso è insopportabile. Arrivata alle superiori Sam è cambiata. Come se dovesse scrollarsi di dosso quella sorellina piccola e fisicamente poco prestante. Come se si vergognasse.

Tranne quella domenica al mese, quella in cui andavano insieme al teatrino, nel parco vicino a casa, al tramonto. Ci andavano con la nonna da piccole, Sara ricordava che anni prima le portava a vedere gli spettacoli al teatrino e poi le lasciava giocare sulle altalene del parchetto. La nonna glielo aveva fatto promettere, di rimanere così, insieme all'ora del crepuscolo. Quando, tre anni prima, la nonna era venuta a mancare avevano continuato ad andarci da sole, una domenica al mese, glielo avevano promesso. Era l’unica piccola cosa che ancora condividevano. Il teatrino non veniva più utilizzato, ma rimaneva lì. Con il sipario rovinato dalle intemperie e il fondale, un tempo bianco, che virava a macchie giallognole. Una delle due si infilava dietro al teatrino e, non appena calava il sole, giocavano con le mani, disegnando una storia d’ombre che dilettava la sorella al lato opposto.

Sembrava una parentesi così lontana in un momento come quello.

Almeno nel buio non potevano vederla piangere.

Perché? Perché umiliarla così? Si chiese Sara nello sgabuzzino.

 

Piangeva in silenzio nel buio.

Da sotto la porticina filtrava un velo di luce, Sara guardò la sua ombra proiettata sul pezzo di muro coperto dalle aste, sembrava la sagoma di un uccello. Avvertì un mugolio basso provenire dal fondo del ripostiglio, non ebbe paura, alla fine i mostri veri erano in palestra a giocare.

Le venne incontro qualcosa, ne sentiva la presenza ma non riusciva a vederla, la sua sagoma si deformò e divenne lupesca. L’ombra lasciò la parete e le ruotò intorno, Sara rimase immobile, piacevolmente incuriosita. L’ombra le guizzò addosso e si accoccolò intorno al suo collo, ne sentì la pelliccia scura accarezzarle la pelle, sembrava la sciarpa pelosa della mamma. La coda d’ombra invece si appoggiò sul dorso avvolgendolo e cadendole infine sulle mani, le sollevò, illuminate dal filo di luce, l’ombra le scorse fra le dita, era fresca come l’acqua e dalla densità sembrava petrolio. La bestia intorno al collo fece le fusa. Era buona, l’avrebbe aiutata, glielo stava dicendo con quelle effusioni. Percepì che l’ombra avesse bisogno di lei per prendere corpo.

E Sara aveva bisogno dell’ombra per non essere sola.

 

La porta si aprì, la luce l’avvolse, l’ombra sparì e lei strinse gli occhi, la professoressa la riprese dicendole che quello non era il modo di evitare l’ora di ginnastica, ma mi hanno chiuso qui, l’insegnante non le credette nemmeno un po’, e la mandò dalla preside. Sam l’aspettava sempre oltre l’uscita della scuola, lo dirò alla mamma!, è colpa tua se ho preso una nota; se ti crede, rispose Sam scostando i capelli: fili di seta bruna. Sara toccò i suoi informi ricci neri, non sembriamo sorelle, pensò, in nessun modo.

Arrivate a casa la mamma sgridò Sara per la nota, poi andò via perché doveva lavorare, Sara si barricò in camera per stare lontano da Sam, ma quella era anche camera sua per cui alla fine aprì la porta; alle dieci e mezza mamma e papà dissero che era ora di andare a letto, infilò il pigiama e si avvolse tra le coperte, accese la lampadina e aprì il libro, Harry Potter era in procinto di risolvere il mistero della camera, aveva appena scoperto che non poteva essere stato Hagrid, divorò una pagina dopo l’altra fino a che Sam non si sdraiò nel letto accanto dopo la sua seduta di bellezza in bagno e sbottò: spegni la luce, con il frusciare delle pagine non riesco a dormire!; come sempre, non c’è una sera in cui posso leggere?, sono vicina a svelare il mistero si stanno dirigendo al bagno; no, ho sonno; dai! io devo sapere per favore, ti prego Sam, ci ho messo tanto per arrivare qui, è la parte più bella, per favore aspetta la fine del capitolo, lei allora sogghignò e chiamò: papààààà, Sara non mi fa dormireeeee, no! no! adesso mi costringerà a smettere, neanche qui posso fare quello che voglio? che farai Sam, riderai ancora quando papà imporrà di dormire? O aspetterai domani per continuare a prendermi in giro? Nemmeno a letto mi lasci in pace? il padre entrò nella stanza e ordinò senza mezzi termini di spegnere la luce perché erano già le undici e bisognava dormire.

Clic.

 

La luce era stata spenta, forzatamente, anche quella sera.

Solo la lampadina d’emergenza emanava luce soffusa nel buio accanto alla porta.

Sara respirò profondamente emettendo un suono lugubre. Sollevò una mano dalle coperte e distese le sue cinque dita proiettando lunghe ombre sul muro. «Esci, esci, dai» lo esortò. Non successe nulla. Sara sospirò, cosa era successo nello sgabuzzino degli attrezzi? Rivide la scena davanti agli occhi, sulla parete era apparsa la sagoma del suo profilo e sembrava un uccello. Doveva dargli una forma?

Alzò le mani, mise la destra a becco e aprì la sinistra distendendo bene ogni falange, sembrava un drago. «Riappari, per favore.»

L’ombra si allungò, i dettagli si disegnarono e sembrò scodinzolare. Sara si tranquillizzò nel rivedere l’oscuro amico.

«Esci dal muro, sei libero adesso.» la sua voce suonò lenta e macabra come passi in un cimitero. Le ombre proiettate sulla parete divennero il muso del demone e la sua corona d’artigli.

«Lo vedi? Lo vedi, Sammi?» le falangi si mossero, artigli neri sul muro che sembravano uscire da sotto il letto di Sam e risalire sulla parete.

«Smettila.» Samantha aprì gli occhi e subito portò la coperta fino al naso. Sam aveva sempre avuto paura del buio da piccola, soprattutto quello sotto al suo letto.

«Shagon è venuto per te.» disse Sara.

L’ombra ringhiò sommessamente. Sara abbassò le mani sulla coperta; l’ombra rimase sulla parete, inclinò il muso sopra al viso della sorella che sgranò gli occhi, un biancore di spettri le colorò il viso. Sara sorrise. Il contatto con l’ombra le aveva dato una consapevolezza: avrebbero fatto qualsiasi cosa sotto il suo comando, le ombre erano sue amiche.

«E non è solo.» Sara alzò solo una mano, segnò sul muro piccoli becchi d’ombra fatti con pollice e indice. «Gli uccelli demone! Vogliono il tuo sangue, se ne nutriranno e poi Shagon banchetterà con i tuoi occhi, ti strapperà la lingua.» pronunciò Sara con la voce degli inferi. Nel mentre gli uccelli emisero dei sussurri, il demone si unì a loro, suonavano come parole incomprensibili e aspirate.

Sam si coprì il viso con il lenzuolo, si voltò da un lato e strinse le ginocchia al petto, Sara mostrò i denti in un sorriso soddisfatto.

«Piantala.» la voce di Sam tremò nel dirlo.

«Fammi finire di leggere e ti lascerò stare.» nel mentre l’ombra appena battezzata fluttuò e uscì dal muro, giunse fino a Sara e con il suo corpo le accarezzò il viso, dolce come il pelo d’ermellino, ne sentì le fusa. Dopo di che tornò sopra il corpo avvolto dal tessuto di Sam, gli artigli di tenebra si ingrandirono. Sara vide le coperte tremare, doveva cedere, doveva dargliela vinta, aveva paura!

L’urlo di Sam spezzò il silenzio dell’attesa. «Papààààà!»

 

Lui tornò in camera.

Clic.

La luce sul soffitto si accese.

Shagon, gli uccelli demone e le altre ombre, che avevano sentito il richiamo della loro regina, scomparvero. Sara cosa combini, chiese papà, niente, è solo Sam che ha paura del buio, replicò Sara; papà! c’è Sara che mi fa paura e rompe le scatole con delle stronzate, modera il linguaggio le disse papà, Sara è vero?, scosse la testa, lei disse che voleva soltanto finire un capitolo, papà sbottò che era tardi, e se voleva dare fastidio a sua sorella avrebbe dormito sul divano, io voglio solo leggere, Sam insistette sul fatto che la sorella le stesse facendo paura, allora papà la mandò sul divano, sfilò il suo piumino dal letto, ne prese il cuscino e la mandò di filato in salotto, non ti azzardare a prendere il libro, è già tardi e devi dormire.

 

Sara rimase nell’oscurità del salotto.

Shagon apparve dal muro e ne uscì tornando al suo fianco. «Non è giusto» disse Sara e la testa del drago d’ombra annuì. Il suo corpo sembrava di liquido scuro, lei tese una mano ad accarezzarlo, ne sentì il morbido pelo sul dorso, la testa coperta di scaglie fredde e acuminate, arrivò sino agli artigli, parevano lame di ghiaccio.

«Ho un’idea» disse guardando le lame guizzanti nel buio. L’occhio nero e verde del demone d’ombra la fissò in attesa. Sara si inclinò fino al suo orecchio e sussurrò. Shagon rispose con suoni profondi e parole aspirate, Sara lo capiva. Anzi, la lingua del demone d’ombra le si traduceva in testa come il ricordo di una vecchia canzone. Shagon spiegò in sussurri che alle ombre piaceva succhiare l’anima delle cose.

Sara alzò un sopracciglio: «Che significa?»

Shagon tentò di spiegarsi meglio e i farfugli d’ombra fecero capire a Sara che i suoi bui amici potevano succhiare l’essenza delle fibre morte e riguardo a quelle vive, Shagon aveva fatto le fusa, quelle erano le sue preferite, ma non sarebbero sparite subito, non ai suoi occhi umani almeno... Sara soppesò le possibilità e infine chiese a Shagon di andare avanti con la sua idea. L’ombra le fece scivolare le spire d’acqua fredda sulle mani e dopo averle strofinato il muso sulla guancia, con fare affettuoso, se ne andò.

 

Mamma! Papà! Le urla di Sam la svegliarono, nascose un sorriso, forse aveva funzionato, li sentì accorrere nella sua stanza, Sam frignava, le sentì dire: Sara mi ha tinto i capelli, urlava come un porcellino; papà si parò davanti a me dall’alto del suo pigiama, è vero? Scossi la testa, io non ho fatto niente, e non mentivo.

Sam arrivò di corsa, io ti uccido, guardami!, guarda cosa hai fatto, i capelli castani e lunghi erano diventati mezzi bianchi. Lo si poteva proprio vedere, un caschetto bruno fino a sotto le orecchie, e da lì tutte le lunghezze diventavano bianche. Sara si sedette e aprì le braccia, non è colpa mia, è stato Shagon.

Sam le saltò addosso e la picchiò, le arrivò uno schiaffo in faccia e un pugno nella pancia, Sam era troppo più alta, troppo più forte, non potevo respingerla, ora però Sam non rideva, eppure anche se le faceva male Sara si ritrovò a sorridere; papà le divise, vedrai!, sei finita!, minacciò Sam poi si rivolse a papà lacrimevole, a scuola così non posso andarci, lui scosse la testa e le disse di andare a vestirsi, arrivò la mamma, entrambi i genitori la fissarono a braccia incrociate, come hai fatto?, chiese la mamma. Sara si ripeté: io non ho fatto niente!, sei in punizione, ma ti sembra?, tua sorella non può nemmeno dormire in pace, disse papà, niente telefono, televisione e uscite per un mese.

Sara lo guardò storto, mia sorella, Sam, è lei che si merita una punizione! Perché a me? Non è giusto! mi ha chiuso nello sgabuzzino, e in punizione ci vado io? Sara andò a vestirsi senza ribattere, tanto che senso aveva? Papà aveva già deciso, solo sua madre sussurrò a suo papà: non ha lasciato neanche una goccia d’acqua ossigenata sul cuscino, come ha fatto? Al che la voce di Sara rispose: ve l’ho detto non-sono-stata-io. Poco importava, a scuola andò di male in peggio e Sam gliela fece pagare per tutta la settimana, era la prima volta in cui Sara si ribellava, anzi, la prima volta in cui si vendicava. Le ombre avevano aiutato Sara a vendicarsi delle angherie subite e avrebbero potuto fare molto di più.

Sam il giorno stesso ruppe uno dei vasi nel cortile esterno e le diede la colpa, presidenza e nota, chiameremo i tuoi genitori!, giovedì alla ricreazione dopo matematica Sara stava mangiando un pezzetto di focaccia, era una bella giornata e fece l’errore di uscire nel cortile, stava ascoltando due compagne parlare della verifica dell’indomani; Sara rientrò: Sam aveva istigato due della sua aula a infilarle l’intera cartella nel gabinetto, lo sapevo che era stata lei! Ecco perché mi guardava dalla finestra mentre camminavo in cortile!, i libri erano rovinati, così anche il diario, papà le allungò la punizione; giovedì Sam venne supportata dalla sua squadra di basket, le ragazze si erano fatte delle mèches bianche nei capelli, cioè, volevano somigliare a Sam, in ogni modo, e lei che pensava di averle fatto un torto… quella mattina Sam e le sue amiche le rubarono dallo zaino il libro che stava leggendo, se lo tirarono per i corridoi lasciando Sara al centro, infine quando giunse nelle mani di Sam lei cominciò a strappare tutte le pagine, leggeva una frase e crr-zac la strappava, non avrebbe mai saputo se Harry sarebbe sopravvissuto a Sirius che lo stava cercando, Sam stringeva dieci facciate fra le dita, oh ma guarda, Sirius non è mica cattivo! Crr-zac, oltre al libro distruggeva anche la storia, crr-zac e risate, ti stiamo rovinando la sorpresa? Risate, crr-zac, risate! Cos’è? Non li hai visti i film? mamma e papà non glielo avrebbero mai ricomprato perché non trattava le sue cose con cura, la colpa sarebbe andata a lei, senza libro chi le avrebbe tenuto compagnia in casa durante quei pomeriggi lunghissimi insieme a Sam?, non voleva, ma non poteva farne a meno, Sara pianse e per la rabbia sbattè piedi, le ragazze del basket iniziarono a ridere, che frignona, ma è davvero tua sorella Sam?, come la sopporti?, si chiuse in bagno e pianse ancora, la professoressa dell’ora dopo la segnò assente, Sam venne a bussare, dai non farne un dramma, a casa abbiamo il dvd, su piccoletta esci dal cesso! Sara non le rispose nemmeno, la prof dell’ora dopo la mandò a casa, Sara disse di non stare bene.

Sam rientrò con qualcosa in mano, le appoggiò sul comodino il libro che le aveva rovinato, era lo stesso ma non era quello di Sara, l’ho rubato in biblioteca, disse Sam. Ho esagerato, scusa. Pace? La guardava come se fosse una cosa normale. Sara non le rispose.

 

Di notte, con Shagon al suo fianco decise di attendere il martedì.

Martedì c’era educazione fisica. Shagon farfugliò qualcosa che proveniva direttamente dal regno delle ombre. Sara sorrise.

Tutti loro dovevano pagare.

Martedì, ogni conto sarebbe stato pareggiato. Avrebbe spento le luci della palestra e avrebbe fatto uscire le ombre dal ripostiglio.

Sara richiamò altre ombre, i sussurri aspirati invasero la camera. Sam dormiva beata nel letto accanto e non si accorse di nulla. Da quando aveva visto Shagon la prima volta dormiva accoccolata in posizione fetale, i piedi e le mani ben lontani dal bordo del letto. Dopo la mutilazione del libro Sam non l’aveva vessata, non ancora, una battuta di scherno l’aveva sempre pronta ma non l’aveva umiliata pubblicamente quel venerdì mattina… Poco importava, le ingiustizie non potevano più essere tollerate. E nemmeno i falsi riavvicinamenti.

Sara si alzò in piedi, le ombre la abbracciarono, rendevano omaggio alla loro regina.

Di notte Sara smetteva di piangere e un sorriso di pazza gioia le si dipingeva in viso.

Le molle del materasso la tradirono e Sam aprì un occhio. «Ma vuoi dormire?» bofonchiò. Sgranò gli occhi non appena le scorse, ombre, sagome con corpi di ogni forma, ragni, lombrichi, mantidi, lupi, draghi, tutti con occhi rossi e verdi, tutte intorno a Sara che stava in piedi a braccia aperte sul letto. «Mandalevia! Mandalevia!» si affrettò a coprirsi la faccia con il lenzuolo.

«Tu non ascolti mai.» pronunciò lentamente Sara con voce lugubre e aspirata, oramai parlava la lingua delle ombre. «E quindi non credo ti servano le orecchie» emise farfugli aspirati e Shagon piombò sul letto di Sam, lei si divincolò, l’ombra fu più veloce, il muso da rettile del demone la attaccò all’orecchio, e Sam urlò sentendo appena una puntura. Sara si infilò sotto le coperte nascondendo un sorriso nel cuscino.

 

«Che succede?» il padre piombò nella stanza.

Clic.

Papà! Papà! Sara controlla i demoni, guarda, vieni, mi hanno tagliato un orecchio, il padre scosse la testa, non vedeva nulla, il cuscino era intonso con solo l’impronta della testa di Sam sopra a esso, Sara! mi girai fingendomi molto assonnata, papà Sam è matta borbottai, piantatela di prendermi in giro e dormite!, noi andiamo a lavorare domani.

Clic.

Il padre uscì, chiudendo la porta della cameretta

 

«Che mi hai fatto?» Sam continuava a tastarsi l’orecchio, non era sparito, c’era ancora tutto, ma aveva qualcosa di diverso, Sam lo tastava: «ha perso sensibilità, come se un pezzo d’orecchio non ci fosse più.» disse impaurita.

«Le ombre mangiano l’anima delle cose» Sara si interruppe per godersi l’immagine della sorella sconvolta mentre si indicava i capelli. «Un pezzo del tuo orecchio è loro adesso, Shagon ne ha preso l’anima. E se continui a essere così cattiva con me gli chiederò di fare molto peggio!»

Sam si alzò, Shagon ringhiò, allora la sorella rimise i piedi nel letto e riprese a tremare. Allungò lentamente una mano all’interruttore vicino al cuscino.

 

Clic

Shagon scomparve e Sam si alzò, andò in bagno, vide che l’orecchio c’era ed era intero. Ma dove aveva sentito la puntura l’orecchio era diventato bianco, come coperto da una voglia, il problema era che quella pelle divenuta bianchiccia, proprio dal lobo, era insensibile, così disse Sam. La sorella maggiore tornò a letto; un pezzo del suo orecchio non aveva più l’anima, chissà come doveva essere pensò Sara, il viso di Sam era bianco e torvo, stando a luce accesa il suo orecchio era lo stesso, ma per come se lo continuava a toccare sembrava più un orecchio fantasma. Lo strinse con le unghie, lo torturò, ma non fece smorfie, quel pezzo d’orecchio senz’anima era insensibile.

 

Clic

Sam se lo toccò ancora. Sara la vide arrendersi all’idea che i demoni ombra le avessero preso l’anima dell’orecchio.

Sam tornò ad accoccolarsi in posizione fetale. C’era silenzio. Le ombre ricomparvero liquide sulla parete in lenta osservazione, Sara non si mosse né le comandò. Fu Sam a sbottare tra la rabbia e la paura: «Basta! Vado a dormire io sul divano.»

 

Riaccese la luce. Clic. E se ne andò. Clic.

 

Shagon tornò da Sara e la avvolse nel suo abbraccio caldo e ghiacciato. Da quando erano nate, Sara e Sam non avevano mai dormito in stanze diverse, cioè: non per scelta, una cosa simile non era mai successa. Sara tamburellò le dita sul dorso del demone ombra.

Non voleva rimanere in camera da sola.

Al contempo però voleva che Sam smettesse di umiliarla. Non potevano tornare come prima delle superiori?

Sprofondò nel sonno cercando una soluzione.

 

L’indomani era sabato e Sam lo passò a un torneo di pallacanestro, dormì da un’amica, lo fece anche il giorno seguente; non le diede fastidio, anzi, la ignorò anche il lunedì a scuola, a casa rimase con un’espressione pensosa e la guardava toccandosi l’orecchio; era lunedì pomeriggio quando irruppe in camera, le saltò addosso, ma non la picchiò, anzi il gesto sconosciuto da parte di Sam si rivelò essere un abbraccio, le chiese scusa, e poi tornò nell’altra stanza così come era venuta.

Anche quella notte Sam dormì sul divano.

Sam la ignorò completamente anche nel fine settimana.

Sara non voleva essere invisibile. Non voleva che Sam la escludesse. Voleva solo che non la torturasse.

Certo, ora aveva le ombre come amiche. Le mancava però sua sorella.

«È domenica.» disse Sara al calar del sole.

«Già.» le rispose Sam guardando i messaggi sul telefono. «Ciao, io esco.»

Lasciò Sara da sola.

Poco dopo lei seguì la sorella maggiore. Il cielo era blu e violetto, il tramonto era terminato ma c’erano ancora le luci del vespro.

Trovò Sam al teatrino.

Non era sola.

Aveva chiamato due amiche del basket.

Anche loro si erano fatte i capelli a caschetto, come il nuovo taglio di Sam. Le odiava. Sam no, quello era il nostro posto. Cosa stai facendo?

 

Sara si nascose. Trovò la luce giusta, dietro a un tronco del parco e con pochi gesti delle mani richiamò Shagon a sé.

Lui attese ordini per nuove angherie. Lei gli chiese di spaventare le amiche del basket. Si mise a mordicchiare un’unghia. Sara fissò le ombre e le luci che si stavano creando intorno a loro, il crepuscolo era tinto di lilla, arancio e nero, ci ripensò.

«Dilettale con un gioco d’ombre nel teatrino. Falle ridere. Per favore.»

Stando ai suoi farfugli, Shagon non pareva gradire. Ma Sara era la regina delle ombre, per cui Shagon eseguì lo stesso.

All’inizio le ragazze non capirono. I loro volti erano sgomenti. I loro visi impallidirono e gli occhi si sgranarono. Poi fissarono la storia e le burle delle ombre. Allora cominciarono a ridere.

Sam si voltò, il crepuscolo le colorò il viso, e incrociò lo sguardo di Sara.

Pace? Disse Sara con il labiale.

Sam annuì e le fece cenno di raggiungerla, come avrebbe voluto la nonna.

Erano pari.

Sam disse alle sue amiche che aveva da fare con sua sorella. Queste protestarono e Sam rispose: ci vediamo domani.

«Spiegami questa cosa delle ombre e dell’essenza delle cose.» chiese Sam sedendosi sull’altalena.

 

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