Cazzimperio vulgare
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Cazzimperio vulgare

Il primo esemplare venne identificato come capostipite di specie e classificato solo nel 2043. Dopo le consuete analisi relative al patrimonio genetico, richieste dal protocollo di validazione per l’iscrizione all’Archivio mondiale di piante erbacee e colture si è scoperto che doveva essere stato utilizzato già nel 2033. 

Inavvertitamente, lo studente sedicenne Joahn Mueller, della Scuola superiore di Chimica e Preparazioni Farmaceutiche del cantone svizzero tedesco, aveva provato a ricavarne molecole di alcool.

All’epoca, Joahn Mueller fu arrestato e processato per aver somministrato, a trecento e otto studenti e trentaquattro docenti, una sostanza liquida non certificata dal Ministero delle innovazioni alimentari, senza aver prima aver fatto sottoscrivere il modulo di consenso informato. In occasione della festa annuale che i membri della società Ricordo bianco organizzavano per ripercorrere i confini che i ghiacciai alpini avevano mantenuto fino al 2015, la bevanda da lui ottenuta mediante distillazione era stata, dallo stesso Mueller, gratuitamente offerta come prodotto per la libera mescita. Dall’indagine condotta, emerse che fu aggiunta a succhi di frutta, vini e tinture di erbe. Durante le escursioni, molti degli studenti e docenti caddero nei crepacci aguzzi lasciati scoperti da quelle che erano state nevi perenni e altrettanti scivolarono lungo i ghiaioni. Tutti i sopravvissuti furono, ore dopo, trovati riversi su terreni accidentati distratti ma ancora presenti a se stessi pur se con qualche ulna rotta.
Nessuno seppe però identificare con certezza la causa di quel disastro, in quanto l’alcool estratto dal Cazzimperio pur avendo consentito anche tra i deceduti una perfetta conservazione dei tessuti molli e financo delle pareti mucose degli organi interni, presenta, come oggi noto, una doppia capacità combinata: una alta volatilità, caratteristica che azzera la possibilità di creare qualsiasi forma di dipendenza e perfetto mimetismo: quello che non si confonde con le molecole di glucosio già nell’organismo, se superfluo, svanisce e si rende irrintracciabile anche nelle autopsie più avanzate.
Il processo si incentrò sull’assenza dei moduli autografi e pochi si interrogarono sulle effettive proprietà della sostanza. Il tutto si concluse con una condanna per tentata strage di persone non adeguatamente informate. La verità, ricostruita ex post, confermava invece che si fossero susseguiti solo incauti brindisi e che molti, dopo il primo bicchiere, avessero apprezzato, anche liscio, il gusto sottile e fresco del preparato.
Oggi di certo sappiamo due cose: la prima è che Mueller credeva di distillare una radice e invece aveva tra le mani un rizoma e la seconda è che la molecola di alcool estratto dal rizoma, posto in pressione costante, consente di stabilizzare bevande a gradazioni molto elevate, organoletticamente più gradevoli di quelle tradizionalmente estratte da canna da zucchero o patata gialla.
L’uso comune in medicina, al momento, lo associa a interventi di chirurgia generale e cure che presuppongono l’intubazione e l’ossigenazione forzosa: l’alcool estratto dal Cazzimperio, quando ben dosato, ha effettivamente sostituito i desueti metodi di sedazione azzerando l’occorrenza di fenomeni di dipendenza da farmaco nota come Iatrogenicenic Withdrawal Syndrome. Permette infatti di raggiungere elevati stadi di astrazione che solo raramente sfociano in deliri. Sono ancora in corso, invece, gli studi sulla capacità dei soggetti in età puberale di assorbire completamente la molecola di alcool e sviluppare enzimi in grado di attivarla nella vita adulta in caso di ferite, lesioni, problemi agli organi interni.

Anni dopo, le analisi sul patrimonio genetico preliminari all’iscrizione al registro nazionale, le stesse che hanno consentito anche la successiva scarcerazione di Mueller, attestavano la perfetta e stabile commistione di due differenti sequenze genetiche attribuibili rispettivamente a due piante spontanee, entrambe della famiglia delle Apiaceae: il Crithmum maritimum e l’Apium graveolens.
Oggi la pianta è tutelata anche se si sconsiglia la distillazione domestica. Il Cazzimperio presenta un apparato radicale dallo sviluppo asimmetrico e ritorto che si diparte da un rizoma allungato e rigonfio, decorrente appena sotto la superficie del terreno. Presenta fusti ramificati che, mostrandosi cavi ma fibrosi, se lasciati crescere, possono diventare robusti, sino ad assumere consistenza lignea. Le foglie sono facilmente riconoscibili in quanto assumono la forma caratteristica a mano rovesciata con una cavità alla base da cui fuoriesce il caratteristico effluvio pungente dovuto all’olio essenziale di limonene e sedanolide.
Pur preferendo radicarsi e crescere in gruppi popolati fino anche da duecento esemplari, si adatta alla solitudine moltiplicando l’attività di ramificazione.
Il rizoma si presenta di colore bruno e ha una superficie grinzosa e ruvida al tatto. Al suo interno, racchiude una sequenza ordinata di listelli pastosi alternati a filamenti di consistenza gelatinosa.
Se lasciato crescere in vaso, come fatto dalla matriarca Rina de Rinaldis, conosciuta da tutta la comunità scientifica come Rina del Secondo Piano, può facilmente raggiungere (senza considerare il rizoma e le radici) una altezza, dal terreno, di trentadue palmi.
La De Rinaldis, non più così aggiornata, era convinta che le avessero regalato un bulbo di narciso, un brutto bulbo, a dirla tutta. Pertanto, aveva provveduto a una prima ripulitura dell’apparato radicale e al taglio netto delle escrescenze dei fusti. Aveva poi interrato il rizoma e lo aveva lasciato crescere sperando, anno dopo anno, che le regalasse qualche fiore bianco. Quando le foglie iniziarono a spingersi verso il marcapiano e a superare in altezza i confini del ballatoio comune, si accorse che il bambino del piano di sopra aveva iniziato a masticarne pezzetti di foglie liberandosi finalmente degli ossiuri che lo affliggevano da tempo e del pavor notturno. Nacque subito il sospetto che la De Rinaldis avesse ricevuto in regalo un esemplare allora ancora poco diffuso di Cazzimperio e non la speranza di vedere una escrescenza floreale. Il regalo, però, le si rivelò utile ad avviare una nuova ricerca sulle fibre vegetali. Le amiche testimoniano che non serbò mai rancore per aver creduto troppo a lungo nell’amore inesistente del suo sperato pretendente.

L’esemplare del 2043, il capostipite identificato, venne rinvenuto tra una ventina di suoi simili ai bordi di un angolo di terreno destinato a orto ma lasciato a riposare da almeno otto settimane.
Il giorno del rinvenimento si attesta precisamente al 7 ottobre. Tutti gli abitanti del condominio lo ricordano perfettamente perché avvenne esattamente un mese dopo che il desalinizzatore si ostruì per la prima volta, in modo tanto inconsueto da dover richiedere l’intervento straordinario di dissotterramento e pulitura.
La pulitura del terreno circostante portò alla luce un esemplare con due brevi fusti di circa quindici centimetri. Il rizoma s’era gonfiato e si presentava irregolare. Bitorzoluto, dice la vulgata. Passato di mano in mano per essere gettato via, fu intercettato da una mezza dozzina di bambini annoiati. Provarono a incidervi un volto. Ne venne fuori un essere dalla pelle aggrinzita. Sopra un ghigno bianchissimo ricavato grattando via il primo strato della superficie scura e irregolare, campeggiavano due occhi sgranati, senza iridi né pupille. La linea delle sopracciglia peggiorò il tutto. Sembrava gridare “Salve, sono tornato a mescolare i vostri buoni propositi”. I suoi stessi creatori si spaventarono e urlarono forte e la cronaca attesta che, a un genitore apprensivo accorso in aiuto, chiesero: “Fallo diventare gentile”. Quello senza pensarci troppo lo appoggiò su un pilastrino e lo tagliò di netto in due. “Ecco, adesso è cattivo per metà e gentile per l’altra metà”.
La parte degli occhi aveva tirato fuori un odore garbato e fresco, alternato a note più agri che ricordavano le limonate delle feste di fine inverno. La parte col ghigno invece rimaneva compatta, chiusa all’olfatto. Eppure, suggeriva una qualche dolcezza mista alle lacrime.
Andò di nuovo di mano in mano fino a quando il più distratto dei bambini dimenticò che nessuno sapesse cosa fosse e addentò l’una e l’altra parte. Sgranando gli occhi ne fu entusiasta: l’essere sapeva di cose antiche, come di finocchio, oppure carota, ma era anche salato, e nella parte acquosa poteva assomigliare al sedano oppure a fiori gialli o bianchi forse, meglio. Pizzicava ma ricordava il mare più che la terra e sembrava rispolverare il ricordo della prima pioggia estiva.
In mezzo al capannello che si era creato, il genitore tagliò quel che rimaneva a listarelle per capire in che punto fossero posizionati tutti quei sapori diversi ma sbagliò verso e si mischiò tutto. Una sorta di dignitosa malinconia avvolse i presenti. Qualcuno pensò che sarebbe stato meglio riscaldato, giusto il tempo necessario a sprigionare gli odori in modo più ordinato. Ne cercarono allora un secondo esemplare e, scoperto dalla terra e si accorsero di piccole gemme di sale attaccate alle radici. Lo pulirono delicatamente e lasciarono che venisse tagliato di nuovo, questa volta longitudinalmente e in spicchi dagli angoli stretti.
Dopo numerosi di quegli assaggi, che proseguirono per tutto il pomeriggio, coinvolgendo ora quelli della chiostrina, ora quelli del primo o secondo piano, i più anziani concordarono che si trattasse del sapore dell’antico pinzimonio. Ma più composito. Se anni prima avrebbero dovuto tagliare e affettare più verdure, fare un giro d’olio e sgranare un paio di pizzichi di sale, adesso bastava quella sola unica palla brutta e terrosa. La mescolanza degli odori si ricombinava in bocca in un ordine preciso di gusti e la magia si moltiplicò quando su un piccolo mestolo qualcuno lo condì prima di passarlo sopra la fiamma viva di un accendisigaro.
Mentre la botanica del terzo piano ne scrutava le fattezze per decidere se avviare davvero il protocollo per l’iscrizione all’Archivio mondiale di piante erbacee e colture spontanee, la mezza dozzina di bambini rivendicava la scoperta e sgomitava perché, senza necessariamente dovergli disegnare occhi e ghigni, fosse la loro merenda.
Il resto è storia ormai nota. L’iscrizione nell’Archivio internazionale venne validata nel gennaio del 2045. L’uso del Cazzimperio è largamente attestato, oggi, in fitomedicina e nell’industria farmaceutica. Quel che è meno noto è che è un ottimo coadiuvante nella dieta quotidiana per le funzionalità renali anche e soprattutto nei mesi di razionamento dell’acqua dolce. Per il resto, nei cortili viene coltivato a volte anche senza i permessi rilasciati dal Ministero competente, affettato con cura, condiviso in piattini e abbinato a vini fortemente tannici. I più esperti preferiscono distillarlo e conservarlo in bottiglie da mezzo litro, per assaporarlo poco per volta. Le proprietà delle molecole di alcool se protette dal contatto con l’aria possono rimanere intatte per anni nelle cantine più fresche. Crudo, non necessita di aggiunta di sale ma i più anziani lo preferiscono accoccolato dentro un dito d’olio, in una piccola cazza roteata su fiamma viva.

Erbario, Manoscritto cartaceo, seconda metà del sec. XV, Biblioteca Bertoliana - Vicenza

Erbario, Manoscritto cartaceo, seconda metà del sec. XV, Biblioteca Bertoliana - Vicenza

Il Cazzimperio è una pianta inventata. Le caratteristiche organolettiche e le proprietà nutritive sono state desunte dall’uso combinato  delle listarelle di finocchio, carote e sedano e che, condite con sale, aceto, olio e pepe, le osterie proponevano, accanto a vini poco beverini, a chi aveva un palato fino o lo stomaco da troppo tempo vuoto, per povertà o dispiacere. Il nome è entrato nell’uso comune sostituendo spesso la parola pinzimonio ed è attestato in diversi testi poetici del Belli e di altri compositori e epigrammisti a partire dall’’800. Di derivazione incerta, rimanda comunque alla pratica alchemica secondo cui, gli alchimisti proponevano assaggi e preparazioni direttamente da un mestolo adatto ad essere passato su fuoco vivo. Da la cazza appunto potrebbero dipendere, chissà, anche le capacità della pianta, che mescola tutti i sapori in un unico rizoma, di generare molecole di alcool tanto miracolose quanto ci richiede di immaginare la spagiria del passato e del futuro.

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