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Fiabe di Fortezza - Il sesto venditore

Una mattina, a Fortezza, nella piazza dei Salici, si erano radunati come al solito i pochi turisti derelitti che quel giorno erano venuti a visitare la città. Erano arrivati all’alba, a bordo di una corriera che sembrava essersi smarrita; in silenzio si erano dispersi, ognuno trascinando nella polvere la propria valigia, e si erano infilati nei grigi alberghetti del centro, dove erano rimasti chiusi qualche ora per riprendersi dalla fatica e dallo sconforto del viaggio.

A mezzogiorno erano usciti in strada tutti insieme. Sui loro volti era dipinto lo smarrimento di chi arriva in un luogo e scopre che, nonostante quel posto esista, non c’è nulla da vedere, niente da visitare, nessuna guida turistica da seguire lungo itinerari pieni di sorprese. Quello che i turisti facevano a Fortezza era semplicemente camminare. Vagavano. Appena più sperduti degli abitanti della città. Per questo prima o poi tutti entravano in piazza dei Salici, dove acchiappini con facce da mangiatori d’oppio li attiravano senza sfiorarli verso i tavoli dei bar che ornavano la breve passeggiata lungo il canale. Era un canale fognario, o ne aveva le sembianze. Tre metri di acqua giallastra scintillavano sotto gli occhi dei turisti, trasportando relitti domestici, scarti, carcasse di animali, schiume. I camerieri iniziavano a servire birre, panini, bicchieri di vino, caffè americani, cappuccini, e i turisti mangiavano e bevevano, sempre con lo sguardo rivolto all’acqua, ai riflessi di mercurio, e sospiravano. Tra loro non scambiavano una parola. Sembravano i distinti ospiti di un manicomio o di una colonia penale in gita premio.
Quel giorno il sole scaldava i tavoli e il canale. Le foglie dei salici sudavano una strana febbre. Una turista era in lacrime, perché appena fuori dall’albergo era stata avvicinata e derubata. Raccontava l’accaduto ad alta voce ai presenti che le si erano radunati intorno. Gli altri tentavano di consolarla, ma lei continuava a lamentarsi. Non fossimo mai venuti qui, diceva, in questa città di maiali. Erano in due. Uno mi ha anche toccata. Li vedo ancora. Li vedo.
I camerieri e gli acchiappini si tenevano a distanza. Ascoltavano e ridevano. Alla donna era stato portato un bicchierino di cognac, poi un altro. Era arrivata una bottiglia che il marito aveva pagato sull’unghia, senza protestare. Ben presto tutti i turisti si erano ritrovati ubriachi. La piazza era un soffocatoio nel pomeriggio estivo. C’era atmosfera di festa, una festa di esuli, ovvero una celebrazione a metà tra un requiem e un baccanale. Ormai i camerieri non chiedevano più prima di servire: approfittavano del fatto che i turisti fossero in preda alla convinzione di essere individui eletti ed eleganti finiti per errore in quell’intestino secco di città. Avventurieri d’altri tempi pronti, nonostante tutto, a ubriacarsi davanti al nulla. Una tappa storta poteva anche essere ammessa, nell’interminabile viaggio delle loro vite. Anche la rapina non era stata altro che un’avventura, in fondo. La donna sembrava essersi ripresa. In piedi, barcollando, continuava a tratteggiare con un certo lirismo le sembianze dei suoi assalitori: caimani neri, sguardi perduti nel vuoto, mani fredde come quelle di cadaveri. Mi avrebbero uccisa e chissà che altro, se non avessi capito l’antifona.
Erano stati serviti champagne e tartine, come sul Titanic. Il canale andava avanti a ribollire e a soffiare sui turisti nuvole di odori misteriosi. Le giacche degli uomini erano finite sulle spalliere delle sedie; le scarpe delle donne sui tavoli. Si parlava di altri viaggi, viaggi intrapresi in passato verso mete che languivano nei racconti di coloro che le avevano raggiunte e negli sguardi di quelli che le avevano solo sognate. Era stata tirata in ballo l’Africa, e al suono di quel nome gli uomini avevano gonfiato il petto e le donne erano arrossite. Ognuno dei presenti aveva, almeno una volta nel corso della sua esistenza, sperimentato lo sconforto e la gioia del pericolo e dello scampo. Sguardi perduti nel vuoto, vi dico. Facce aguzze. Spalle larghe come catene montuose. Se non avessi capito… Se non mi fossi messa a urlare... Mostri, mostri, mostri. Non li dimenticherò mai.
Erano passate le ore e i turisti non accennavano ad andarsene. D’altronde i bicchieri erano sempre pieni, quindi perché sgombrare il campo?, avevano riflettuto. In fondo il rumore del canale non era spiacevole e l’odore degli scarichi somigliava all’aria di una medina. Sulla piazza dei Salici iniziava a scendere l’ombra tropicale, e così, con il crepuscolo, erano comparsi anche i venditori.
Il primo portava rose. I petali grondavano acqua. Dovevano essere stati bagnati poco prima nel canale. Ogni donna aveva ricevuto la sua rosa, tranne la vittima della rapina che ne aveva pretese tre. Il secondo vendeva anelli. Il terzo sigarette e accessori per fumare. A lui erano toccati buoni affari. Le sigarette brillavano e poi volavano verso l’acqua. Io ho l’infarto, diceva qualcuno tirando una boccata. Io due, aveva risposto un altro dal fondo di una visione sfocata. Il quarto venditore aveva deposto accanto ai tavoli una cassetta di legno piena di pornografia. Solo film girati a Fortezza, aveva detto. Prodotti dal muscolo caldo di questa città. In nessun posto al mondo c’è pornografia come la nostra. Sotterranea, segreta, di classe, brutale, quello che volete. Roba che brucia non solo corpo e anima, ma anche i vostri cervelli. Cervelli in fumo, davvero, come incenso. C’era voluto un po’, ma alla fine uno dei turisti aveva acquistato un paio di dvd, e altri lo avevano seguito, liberati dalla colpa. Da ogni luogo in cui erano stati avevano portato a casa ciò che di meglio quel posto poteva offrire, e se Fortezza offriva pornografia, il loro dovere di avventurieri era portarne un po’ con sé.
Quando ormai i turisti avevano iniziato a cantare e a ordinare whisky scozzese (che nei bar di piazza dei Salici è nient’altro che whisky industriale versato in bottiglie scozzesi) era arrivato il quinto venditore, ovvero il pappone dei forestieri. Donne, uomini, fanciulli, bambine, animali: quello che volete, aveva annunciato. Qui dietro, in una casa signorile. Massima discrezione. Per tutti voi abbiamo qualcosa di unico e indimenticabile. Tuttavia, con suo grande rammarico, il venditore aveva dovuto constatare che la prostituzione era troppo anche per quei viaggiatori intrepidi. Era stato allontanato con cortesia, ricacciato nell’ombra a giocare a carte con i suoi dipendenti, tra specchi e tappeti, nel salone del bordello che per quella notte sarebbe rimasto vuoto.
Non appena il magnaccia si era dileguato dietro una svolta in ombra, sul gruppo dei turisti era calato il silenzio. Si erano sentiti d’improvviso stanchi, vuoti, invecchiati. I camerieri continuavano a correre tra i tavoli disegnando traiettorie nauseabonde, simili a spiritelli sudati. Dal canale saliva una luminescenza, una lieve pulsazione. Stava per arrivare la notte di Fortezza e i turisti iniziavano a rendersi conto di essersi resi ridicoli, ma non riuscivano a muoversi. Troppo alcol, troppo cibo. Focolai di mal di testa esplodevano qua e là tra i lamenti. Qualcuno si era affacciato sull’acqua per vomitarvi dentro. Una coreografia di pallore. Sgua… sguardi perduti nel… nel vuoto, vi dico. Facce verdi… sì, verdi… Ci scommetto che se mi avessero presa di notte… Adesso passerei qui… accanto a voi. Laggiù nel canale. Se ci penso, tremo.
Il sesto venditore era arrivato senza che nessuno si accorgesse di lui. Non vendeva niente. Se ne stava accanto ai tavoli, con gli occhi arrossati che fissavano le facce esauste dei forestieri. Sembrava apparso dal nulla. Giubbotto di cuoio con lo stemma di una scuderia motociclistica, camicia incartapecorita, jeans logorati agli orli, infradito di gomma sotto i piedi neri. Se lo era portato la brezza dell'acqua.
Cosa vuoi?, gli aveva chiesto uno dei turisti, quello che era stato in Africa. Poi gli aveva ripetuto la domanda in una lingua diversa. Il venditore non aveva risposto. Abbiamo già comprato, vedi? Gli avevano indicato le sigarette, gli accendini, i dvd pornografici, le rose. Quello è pazzo, aveva urlato da lontano uno degli acchiappini. Diglielo che sei pazzo, su. Adesso vedrete.
Solo allora l’espressione sul volto del ragazzo era cambiata. Un sorriso o una smorfia.
Siete stanchi?, aveva chiesto ai turisti. Distrutti, aveva detto la donna della rapina. Se solo le raccontassi…
Anche io sono stanco, signora. Ma io non posso raccontarle niente.
Si era avvicinato al cornicione che affacciava sul canale.
Lo sapete che sono morto?
Gli stranieri avevano aperto le bocche, come per lasciarvi entrare nugoli di insetti.
Ve lo hanno detto, quando vi siete seduti, che avreste visto un morto camminare? Loro lo sapevano, aveva sorriso indicando i camerieri. Vengo qui tutte le sere, signori. Finisco qui il giro tra le stazioni della mia morte.
I turisti si erano guardati in preda alla confusione. Tutto avrebbero immaginato, fuorché terminare la serata a placare un ragazzo disturbato. D’altronde viaggiare significava anche saper fronteggiare l’imprevisto e incrociare sulla propria strada individui che nella vita di tutti i giorni si sarebbero evitati con facilità, grazie alla sola inerzia dell’abitudine.
Non sembri morto, se ti posso dire la mia, aveva fatto un vecchio con i baffi bianchi, con la voce impastata di whisky.
Datemi quello che potete, e vedrete, aveva detto il ragazzo senza smettere di fissare le acque del canale. Sono stanco, a pezzi. Sono oltre i limiti della stanchezza. Qui dove mi trovo tutti siete fantasmi, ma solo uno è morto, e quello sono io. Capite? Datemi quello che potete.
Dalle tasche, dalle borsette e dai portafogli i forestieri avevano tirato fuori una manciata di monete. Il tipo che era stato in Africa si era alzato e le aveva messe nella mano del venditore.
Grazie, aveva detto lui, poi aveva rivolto la testa in alto, come per elaborare un calcolo o un’ipotesi, aveva guardato nel giallo mucoso del canale e con un rapido gesto aveva lanciato le monete nei flutti.
Adesso vado a prenderle, aveva detto.
Sotto gli sguardi dei turisti si era arrampicato sul cornicione e un secondo dopo era scomparso, risucchiato dal buio.
Non soffiava un rantolo di vento nella piazza dei Salici. Tutto era immerso in un brivido di sudore e nella paralisi. Una sedia si era rovesciata nel silenzio e il primo turista era corso a guardare l’acqua.
È ancora lì!, aveva gridato. A quel punto tutti si erano precipitati.
La testa bruna del venditore emergeva dall’acqua, al centro della corrente. Due volte l’avevano vista sprofondare e due volte risalire.
Torna a riva!, gli avevano urlato, ma il venditore non si era mosso. A qualcuno di loro era parso che nella fatica il ragazzo sorridesse, ma si erano ben guardati dal farlo notare e anche in seguito, nel corso degli anni, avrebbero tenuto per sé quel ricordo.
Il ragazzo era rimasto a galla per qualche minuto. Ormai i turisti non facevano altro che fissarlo. Occhi bianchi, teste bianche, volti esangui. Gli acchiappini e i camerieri ridevano da qualche parte alle loro spalle. Visto che è pazzo?, gridavano, ma i turisti quasi non li sentivano più, presi dall’ipnosi della testa che sprofondava e riemergeva come una boa con gli occhi, e lo avevano guardato fino a che la testa del venditore non era scomparsa di nuovo, questa volta senza risalire, e l’acqua era tornata acqua, acqua che scorreva e trascinava rottami, lungo il canale scuro e quieto.
E a questo si era ridotto tutto. I turisti erano rimasti davanti all’acqua ancora per un’ora, nella speranza di rivedere il venditore spuntare da qualche parte tra i flutti o nella macchia di vegetazione che infestava gli argini. Uno di loro aveva chiesto ai camerieri di chiamare la polizia, ma quelli lo avevano guardato come se quello straniero, nelle ore di permanenza a Fortezza, non avesse capito nulla. Poi lentamente avevano ripreso a guardarsi a vicenda. Negli altri avevano visto facce in preda al terrore. Avevano pagato il conto, una cifra inverosimile, senza fiatare, e si erano messi in marcia per tornare agli alberghi che a quell'ora dovevano aver acceso le insegne al neon rosse, azzurre, verdi, che indicavano nomi come Hotel Anubi, Hotel Panic, Pensione Lamento, nomi che forse esistevano solo nella testa dei turisti che leggevano le insegne per la prima volta con le menti trasfigurate. Una volta in camera si sarebbero liberati degli abiti zuppi di sudore e alcol e prima di entrare nelle docce si sarebbero fermati davanti allo specchio del bagno. Dio solo sa cosa avrebbero visto. Sguardi perduti nel vuoto, vi dico. Sguardi che non sanno più cosa volere. Corpi rinsecchiti, scatole di respiri morti.

 

Luciano Funetta

 

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