TerraNullius Narrazioni PopolariTerraNullius Narrazioni PopolariTerraNullius Narrazioni Popolari

TerraNullius Narrazioni PopolariTerraNullius Narrazioni PopolariTerraNullius Narrazioni Popolari

  1. Narrazioni
  2. L'urlo della scimmia

Editoriale, febbraio 2019 - Milioni di Woyzeck

La notte fa paura, d’inverno.
Le città tremano sul ghiaccio, palafitte che oscillano quando il vento erompe dalla valle gelata. Hanno visto intere famiglie scomparire nella nebbia, nel tentativo di fuggire. Nessun ritorno al fuoco, né voci di ritrovamenti. I cacciatori si sono riuniti nelle sale riscaldate e hanno deciso di scavare buche profonde nelle acque immobili. L’unica salvezza, ha detto qualcuno, è che un banco di pesci sia rimasto intrappolato a pochi metri dal vento. Il lavoro ha spezzato le mani di molti, ma gli abitanti sono riusciti a scavare un pozzo abbastanza profondo, un buco quasi circolare.

L’idea dei fuochi nella notte è stata accolta bene dalle voci sempre più basse, lontane. Ovunque, sulle acque ghiacciate, sono comparsi mucchi di legna da bruciare. L’alcol è stato trovato in un deposito abbandonato.
Hanno scoperto troppo tardi la verità. Il vento avrebbe ingoiato il fuoco e la notte sarebbe cresciuta fino a diventare infinita.
Morirono in molti, troppi. I sopravvissuti vissero le vite dei defunti.

Abito in un appartamento riscaldato e ho la pancia piena. Penso alle ultime parole scritte e alle voci estorte al delirio della fame. I sopravvissuti vissero perché si cibarono dei più deboli. Nella notte di una glaciazione possibile, nella storia degli eventi narrati, questo è un caso comune. Una tragedia con carnefici e vittime, con sopravvissuti intervistati nei decenni che seguono, mentre il tarlo della pazzia si insinua come un batterio sul fondale del lago.
Anni dopo, gli interessati possono dirigersi verso il luogo del crimine e constatare che tutto è possibile e che, in fondo, l’evento si è dimostrato un caso nella lunga sequenza dei casi terribili, e che le uccisioni e le sparizioni appartengono alla storia umana quanto il fuoco al ghiaccio.

Durante il Grande Carnaio, un disertore scrisse sul muro del carcere di Mühlheim: «80 chili di carne fredda, 4 secchi d’acqua, un sacchetto di sale». Lo cita Durs Grünbein, a proposito dei milioni di Woyzeck crepati nelle trincee, per rispondere alla domanda: cos’è un morto?
E che significato ha il luogo del crimine?
Se lo chiedeva Günther Anders in un libro, Dopo Holocaust, 1979, a proposito dei carnefici (uno dei piloti che prese parte alla missione che distruggerà Hiroshima) che rimasero molto distanti dai crimini commessi. Sono carnefici senza sangue, privati delle urla, degli occhi che si chiudono. Sono i carnefici dell’era tecnologica.
L’aviatore Claude Robert Eatherly impazzì. Dopo la visione della serie tv americana Holocaust, milioni di tedeschi aprirono gli occhi sui crimini commessi durante la Seconda Guerra mondiale. Per anni avevano congelato l’indicibile.
Che rapporto c’è tra letteratura e sofferenza, e qual è la distanza tra di loro?, si chiedeva Stig Dagerman in un magistrale pezzo raccolto nel reportage Autunno tedesco.
E chi è il morto nel bunker?, chiede a se stesso Martin Pollack, figlio di un ufficiale delle SS, che scava nei documenti dimenticati per riportare a galla la storia di una colpa individuale e collettiva, per definire e occludere la paura di chi conosce i fatti e teme che parlarne produrrà soltanto polvere e fiamme, per chiudere un cerchio che ognuno di noi è destinato a disegnare, per confermare a se stesso l’idea che siamo ciò che decidiamo di essere. Nel bene e nel male.

Ho visto questo video (https://bit.ly/2DD0d7y), creato per un’installazione al museo di Melbourne: è la ricostruzione delle ore che portano alla devastazione di Pompei. La narrazione è sconcertante, perché incarna un unico punto di vista: i tetti della città e il vulcano sullo sfondo. Le voci delle future vittime e la natura circostante attraversano il tempo grazie alla tecnologia. Il dolore trova una testimonianza fallace, ma verosimile. Guardandolo mi chiedo, che cosa avremmo fatto, noi? Come ci saremmo comportati?


Il dolore attraversa i continenti, come la letteratura?
Attraversa lo spazio e il tempo?
Siamo in grado di ascoltare la sofferenza?
Siamo stati ingaggiati da un Io senza dubbi, certo della sua posizione nel mondo?
Siamo in grado di discernere un crimine da un sopruso?
Abbiamo a cuore la verità storica?
Che cos’è la verita storica?
Sono le voci dei testimoni?
Sono le voci dei sopravvissuti?
Sono le voci dei carnefici?
Sono le voci dei dimenticati?
Degli scomparsi?
Dei senza voce?

Chi sono?

L’altro giorno ho parlato con un vecchio che raccoglie gli avanzi per strada. Mi ha detto che il sole muore. Che la luna è sporca. Che il vento taglia i capelli. Che la notte diventa infinita. Che un grumo espolde e rimuove le ossa. Ha detto molte cose, il vecchio, mentre si asciugava la barba bagnata dalla pioggia. Mi ha visto mentre cercavo una moneta. Ha detto, sei patetico. Non sei niente.

 


Marco Lupo

© 2020 TerraNullius - CC Licensed

menu

  • Home
  • Narrazioni
  • Ipercontemporanea
  • I nostri libri