Stupidi giocattoli di legno è recentemente uscito nella collana X – Book dell'editore Agenzia X. Ci è sembrato da subito una miniera di spunti, non soltanto per l'argomento che tratta, (in apparenza la pratica, lo stile e la storia dello skateboarding nel nostro Paese, più sottilmente la capacità di questi stupidi giocattoli di legno di interagire con lo spazio urbano), ma anche per come lo tratta: un saggio, un tutorial, video, codici QR, interviste. Sfrutta cioè le tante potenzialità del digitale per espandere il discorso, proponendone un arricchimento e non una dispersione nella quale a volte si incappa perdendosi nei molteplici ami aguzzi e scintillanti che la rete web ci tende senza una guida sensata.
Abbiamo incontrato Flavio Pintarelli ma con lui abbiamo fatto un patto: non sarà la solita intervista di dieci domande e dieci risposte, no, sarà una piccola scrittura parallela che prenderà le mosse da alcune nostre suggestioni, dalle quali Flavio si dovrà muovere utilizzando tutti i linguaggi del libro. Quel che ne è venuto fuori è quanto segue. Il patto, ci sembra, è stato rispettato.
Ciao Flavio, intanto dobbiamo dire che una affinità tra TerraNullius e il taglio che tu hai dato al libro attraversa tutte le pagine digitali di Stupidi Giocattoli, e la sentiamo nostra, dentro e fuori i libri, nelle pratiche quotidiane che ci appartengono: la strada può (e deve essere) uno spazio creativo. Tu ci racconti come effettivamente questo è accaduto con l'utilizzo (e con il mito) dello skate, a partire dagli Stati Uniti, fino ad arrivare in tutto il mondo e in Italia. Quindi la serie di Sketch che noi di TN ti lanciamo parte proprio da qui.
#1 La strada spazio creativo
Creatività, per strada, può significare molte cose, specialmente a bordo di uno skate. Ho scelto di illustrare l'idea di creatività con il video della costruzione di uno spot DIY, a Zagabria, in Croazia. Perché? Perché mi pare il modo migliore per mostrare quanto la pratica dello skateboarding possa incidere sul disegno della città, modificandolo in base alle proprie esigenze senza per questo alienarla a suo esclusivo uso e consumo. Gli skater trasformano un elemento di arredo urbano, cambiandone il senso, e lo utilizzano creativamente per la propria disciplina. Ci vedo l'essenza della città come spazio attraversato da flussi di intelligenza.
#2 La città è un palcoscenico privilegiato
Ho scelto di usare un video anche per illustrare questo sketch, ma avrei potuto usarne decine di altri simili. Skate City è una serie realizzata dal canale You Tube Ride Channel. Ogni puntata racconta una città, vista attraverso gli occhi di uno skater local. In questo caso c'è Rick McCrank che ci porta alla scoperta di Vancouver. Comunque quello che è importante è il rapporto stretto che lega uno skater alla sua città. Questa è palcoscenico inteso come spazio in cui ha luogo la performance, ma anche come spazio in cui ci si rende visibili e lo skateboarding è un'attività che ricerca la visibilità in molte forme diverse. Essere presente nel cuore della metropoli è una di queste forme.
#3 Nuova semiotica urbana: street art e skateboarding
Street art e skateboarding hanno un'infinità di cose in comune tra loro. Stesso palcoscenico, la città, stessa attenzione alla performance, tecnica, atletica e creativa, stesso modo di incidere sulle grammatiche che regolano la vita urbana, proponendone di nuove e sovversive. Insomma sono due modi per inscrivere e tracciare delle traiettorie, incidendole nel tessuto urbano.
#4 Un attimo di storia parte 1: Dogtown e gli Z Boys
Tony Alva, Jay Adams, Stacy Peralta, Peggy Oki e tutti gli altri. Se c'è un momento fondativo dello skateboarding come sport, cultura e immaginario quelli sono senza dubbio gli anni di Dogtown. Dal surf allo skate, dall'oceano ai bank dei canali in secca, dalle onde alle curve delle piscine. E poi la periferia, l'attitudine bully e ribelle, l'esplorazione urbana, lo squatting. Lo skateboarding viene da lì, quelle sono le sue radici, quelle profonde, quelle che ancora oggi germogliano. A dispetto dei vari carrozzoni, del business, della professionalizzazione.
#5 Slang
Più che uno slang, lo skateboarding possiede, secondo me, un vero e proprio gergo. Fatto di termini tecnici che spesso hanno etimologie che vale la pena di scoprire. Ad esempio, il nome della manvora base dello skate, l'ollie, nasce dal soprannome del suo inventore, Alan "Ollie" Geldof. Nel video si vede un Caballerial, ovvero un fakie backside ollie 360° (a cui Ryan Sheckler aggiunge un flip, tanto per gradire). Il nome del trick si deve a Steve Caballero, che lo inventò nel 1981. Insomma c'è spesso una storia da raccontare dietro questi termini apparentemente misteriosi. Bisogna solo disseppellirla.
#6 Immagine Emulazione Apparenza
Tre parole che userei per descrivere il concetto e l'idea di stile, centrale per quanto riguarda lo skateboarding. Lo skate è un modo per costruirsi la propria identità ovvero l'immagine di sé stessi. L'identità si costruisce per differenza a partire dall'emulazione di un modello. Il principiante cerca di scrivere come il suo scrittore preferito o di skateare come il suo skater preferito. Di conseguenza ne adotta le pose e le mode, creandosi un'apparenza. Poi, mano a mano che cresce, capisce che lo stile può e deve essere una cosa sua e così, come lo scrittore affina la sua lingua, lo skater affina il proprio gesto tecnico e lo adatta alla sua personalità o, meglio, costruisce questa integrandolo al suo interno.
#7 Un attimo di storia parte 2: il 1989, lo skate sbarca in Italia
@Scalva_ gran post, rilancerei pure la foto da @futbologiaorg ch'era tanta roba #skatemolotov @El_Pinta pic.twitter.com/lPMAogLuwU
— Erchamion (@vhreccia) 13 Ottobre 2014
Diciamo che, per essere precisi, lo skate in Italia c'era arrivato una decina d'anni prima del 1989, ma è a partire da quell'anno che si ha il primo, vero boom dello skate nel nostro Paese. Sulle televisioni locali gira un film che si chiama 'Trashin. Corsa al massacro' e un po' ovunque lungo lo stivale nascono scene locali di skater. Le tavole sono ancora quelle larghe, a forma di pesce, ma di lì a poco le cose cambieranno, lo street la farà da padrone e le tavole diventeranno sempre più strette, le ruote sempre più piccole e i trick sempre più tecnici. Da quel momento in avanti si può solo crescere.
#8 Mainstream e Underground
Come amavamo dire su Futbologia, anche nello skateboarding "i bei tempi non sono mai esistiti". Nel senso che fin dalla nascita delle prime tavole, lo skate ha intrattenuto un rapporto stretto con il business e il mainstream. Nella DDR, negli anni '80, lo Stato, accortosi che non poteva combattere il virus nichilista e individualista dello skateboarding, decise di istituzionalizzarlo, creando delle vere e proprie accademie e delle squadre di Stato (lo raccontano in un film bellissimo, 'This ain't California'). Oggi qualcosa del genere lo stanno facendo in Cina. In ogni caso c'è da dire che senza contest, sponsor e ricerca sui materiali lo skateboarding moderno non esisterebbe e non esisterebbe nemmeno uno skateboarding undergound. La verità è che tra questi due elementi c'è e ci deve essere sempre una dialettica sufficentemente consapevole delle contraddizioni che questo stato di fatto comporta.
#9 Skate al femminile
L'unico rimpianto che ho per Stupidi giocattoli di legno è di non aver trattato l'argomento dello skateboarding femminile. Ed è una dimenticanza abbastanza grave. Perché per quanto l'immaginario dello skate sia legato a quello del giovane maschio bianco lo skateboarding femminile esiste da sempre ed è una solida realtà. Ci sono un sacco di ragazze che vanno in skate e spaccano. Ma anche se non spaccano non importa, perché lo skate è un modo per rompere certe barriere. Persone come Ellen O'Neal, Peggy Oki, Vicki Vickers, Elissa Steamer o Steffi Weiss non si sono mai preoccupate di essere donne, erano e sono innazitutto delle skater ed è questo che, secondo me, fa tutta la differenza.
#10 Interviste
Nella seconda parte del libro ci sono interviste a tante persone che hanno fatto dello skate una ragione di vita. Che domanda faresti invece allo skater tredicenne che eri?
Gli chiederei "dove ti vedi tra vent'anni?"
E lui risponderebbe: sullo skate! Anche se in skate, tra ginocchia doloranti e necessità di lavoro, ci vado sempre meno. Ma quello che mi ha lasciato, lo sguardo e l'attitudine, la voglia di non mollare mai, fanno ancora parte di me. E di questo lo ringrazio."
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